Il Galeone sfreccia sulle dune di tatooine. Altissimi pinnacoli di roccia, torreggiano per centinaia di metri sopra le teste degli stanchi avventurieri. Fuinn, Max, Anomander, Momaw, Dorn e Aaclay sono tutti seduti da qualche parte sul ponte. Alcuni di loro riflettono su cosa ci sia da fare nelle prossime ore, e sui possibili pericoli che ancora li aspettano su questo pianeta così ostile. Qualcun altro, invece, si gode la temperatura piacevolmente bassa della notte in arrivo. Dopo un po’, il comunicatore di Kastar blippa.
“Missione compiuta. Mi sto avvicinando da sud-sud-est”. E’ la voce di uno dei piloti. Un punto luminoso, forse il riflesso delle stelle sul lucido metallo, ed una swoop-bike imperiale si avvicina rapidamente al massiccio veicolo. Uno dei due mercenari che pilotavano il galeone mostra la sua abilità accostandosi e poi atterrando in volo sul ponte del Galeone. Rapidamente, va da Anomander.
“Tutto fatto. Le cariche sono in ordine, ed il veicolo è ben nascosto, assieme a tutta la roba che non era possibile prendere ed alle…tracce”
“Ottimo” dice Anomander. Lui e Max aprono una piccola console portatile annessa alla radio da loro stessi costruita ed inseriscono un numero di sei cifre. Per un attimo si guardano, poi Max preme un bottone isolato dagli altri. Mentalmente, tutti sentono il boato dell’esplosione che, in questo momento, di sicuro si sta verificando da qualche parte tra le dune.
“Anche questa è fatta…” commenta lo jedi.
[…]
“Signore, abbiamo appena passato Anchorhead. Le fattorie dei vaporatori sono a sud della nostra posizione…adesso?”, c’è timore nella voce di uno dei due piloti
“Devo dirtelo?” replica Kastar quasi divertito
“Temo di no…correggi per due…quattro…sette…247…rotta ovest-sud-ovest”
“Bravo”, risponde sorridendo
“Signore, sono sicuro che lei sa chi abita adesso nel vecchio monastero dei Monaci B’omarr, noi…”
“Tranquillo, ci stanno aspettando, e ansiosamente. Vedrai che contenti che saranno appena mi vedranno arrivare. Nessuno di voi deve fare niente, appena arrivati. Ve ne state buoni a bordo, con le armi nascoste ma PRONTE, non si sa mai, e lasciate entrare me con il carico. Vedrai che tempo un oretta e siamo tutti di nuovo in viaggio per Mos Eisley”.
“Va bene…”
*Va bene un accidenti! Anche se l’accordo è rispettato, è sempre con Jabba che abbiamo a che fare. Solo l’idea di entrare in quel palazzo di tagliagole mi terrorizza. Meglio calmarsi, quei bastardi fiutano la paura a tre parsec di distanza!*
[…]
E’ questione di un altro paio d’ore abbondanti, e la rupe del monastero compare a prua del galeone. Una formazione rocciosa che si sporge su uno strapiombo di quasi 400 metri; su di essa, una costruzione di pietra rosso scura ed acciaio, dalla imponente cupola, fiancheggiata da una torre alta e stretta. Il comprensorio tradisce la sua età, sebbene Kastar, Anomander e Max sappiano bene come l’interno sia parecchio diverso dall’esterno. Il galeone si ferma, con i motori in stand by, a duecento metri dall’enorme cancello principale, una porta spessa un metro, larga 10 e alta 6, dal peso impossibile. L’atmosfera intorno al monastero sembra tranquilla. Solo alcuni rospi delle sabbie si muovono, di tanto in tanto, per godersi il poco umido della notte. Sul ponte, davanti alla passerella detraibile, sono tutti di nuovo riuniti. E’ il Mon Calamari a parlare per primo
“Bene, nero, adesso che facciamo?”