*Un vero capo..sono un vero capo…* e’ quel che pensa Kastar osservando le operazioni di carico sul galeone. Con l’aiuto degli ex schiavi di Centa non è stato difficile svuotare il campo del luogotenente Harburik in pochi minuti.
*Un vero capo si fa carico delle responsabilità e toglie i suoi uomini d’impaccio. Questa è una decisione scomoda, da prendere. Nessuno di questi problemi mi toccherebbe, in teoria. Nessuno ha visto il mio volto, e ho agito dall’ombra tutto il tempo…ed anche i Baffor…non sono la mia lotta. Cosa fare di questi prigionieri, non sarebbe un problema mio. Però penso di doverglielo, a questi ragazzi. E’ un fatto. Se non ci fossero stati i contatti e le conoscenze tecniche di Anomander e Max, se Max stesso e Fuinn non avessero scatenato tutta quella imprevedibile forza, combattendo come dieci soldati d’elite…non so, non so davvero che rischi avrei dovuto correre per fare questa cosa da solo. Forse ce l’avrei fatta, forse no. Ora è tutto quasi finito, e solo ora mi accorgo di quanto abbiamo sfidato la fortuna. Ci è andata bene, e siamo stati bravi, ma non accetterò più un incarico del genere. Troppe incognite, troppa improvvisazione, troppe cose fuori dal mio controllo, troppe*
“Abbiamo finito, Nero” bisbiglia il twi’lek alle spalle di Kastar. Sul suo volto azzurro ed emaciato, ancora i segni della stanchezza e delle privazioni subite.
“Arrivo” risponde Kastar.
Fuinn è già a bordo, seduto a prua. Il vento fresco della prima notte di Tatooine ancora non si è trasformato in quello gelido e secco della notte fonda, ed il sindo si lascia andare ai ricordi senza che nessuno lo disturbi. Max reagisce diversamente. Mille cose successe, troppo a cui pensare, troppo da capire. Lo jedi si confonde tra gli ex schiavi, una abitudine a sparire dall’attenzione di un osservatore casuale affinata in 25 anni di fughe. Potrebbe stare seduto e farsi i fatti suoi, ma deve tenersi occupato, e non vuole stare a dare ordini o a riceverne, non ci è abituato. Per conto suo, issa le ultime casse a bordo. Da qualche parte, Kastar lo immagina salendo la scaletta detraibile, c’è anche Anomander. Per pensare meglio, o per non pensare affatto, il rosso si concentra sulla meccanica. Forse è in plancia ai sensori, forse in sala macchine a fare conoscenza con quello scheletro di meccanico, forse esamina la scheda di Fuinn assieme a Momaw. Del campo non resta più molto. Harburik e gli altri prigionieri, legati, bendati ed imbavagliati, sono nella stiva, sotto lo sguardo per niente amorevole di Chaard e della sua vibroascia.
“Signore, siamo pronti a partire. Al suo segnale” è la voce di uno dei piloti, dalla sala macchine.
*Certe cose sono proprio intuitive…Si, sono il tuo comandante, per adesso* pensa Kastar sistemandosi sul sedile dietro quello dei piloti.
“Bene. Solleviamoci. Rotta per 180, si torna indietro. Le coordinate sono per l’area a nord-ovest di Anchorage. Massima velocità consentita e silenzio radio”
“Nord ovest di Anchorhead? Ma, signore, è…”
“Non ci senti? Ho detto nord ovest, Anchorhead. Portaci fuori!”
“Si…si signore!”
Il galeone Hubrikkian si alza dolcemente e ruota di 180 gradi su se stesso, puntando la prua a ferro da stiro verso le dune azzurre e grigie. Sopra di loro, splendono migliaia di stelle.
[Modificato da Ossian77 19/04/2007 10.53]