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Il Santo Graal

Ultimo Aggiornamento: 14/04/2005 18:27
05/04/2005 15:26
 
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Preparatissimo Stauro.;)

Sarebbe interessante una specie di raccolta delle varie interpretazioni del Grall.

Ovvero:
- piatto
- coppa di vino
- coppa in cui fu raccolto il sangue
- linea di sangue

Ce ne sono altre?


Ne uccide + la spada che la penna!
L'ascia lascia la scia!

[Modificato da Arjuna 05/04/2005 15.27]

05/04/2005 15:30
 
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Come ho detto è stato identificato anche con oggetti della tradizione pagana, non solo quella cristiana.
Il calderone dei celti ad esempio, uno dei famosi 12 (o 13?) tesori della Britannia.

05/04/2005 17:23
 
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Di sicuro pietra preziosa generica, perla, nave, pietra. e di certo ce ne sono altre. Cerco un pò poi posto se ho trovato altre interpretazioni.
05/04/2005 20:11
 
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Re:

Scritto da: Arjuna 05/04/2005 13.07
Il Grall non era stato addirittura inteso come il sangue di Cristo, ovvero la sua discendenza?
Mi pare fosse riferito ai re francesi.



Torno su questo post per spiegare meglio da dove arriva questa teoria.
Rennes le Chateau è un paesino francese del dipartimento dell'Aude, ai piedi dei Pirenei orientali, nella zona detta del Razes. Dal 1960 a oggi a Rennes le Chateau sono state dedicate una miriade di pubblicazione, a cause delle leggende che lo vedono protagonista.
Le leggende che attirano a Rennes i turisti sono così estreme che gli stessi specialisti di esoterismo esitano ad occuparsene, temendo di essere confusi con i mitomani che hanno scritto sull'argomento.
Rennes le Chateau nasconderebbe infatti - e non si tratta di un elenco completo - la verità sul Graal, quella sul cristianesimo, l'identità dei veri pretendenti al trono di Francia, la vera storia delle società segrete, le prospettive future del mondo e l'immancabile tesoro dal valore incommensurabile.
La fama di Rennes le Chateau si ricollega certamente alle leggende sul "Graal dei catari": il borgo si trova all'interno di quel "paese cataro" che una sapiente promozione ha reso in anni recenti una delle piùambite mete turistiche francesi. Rennes rimarrebbe però una nota a piè di pagina del ricco turismo "cataro" contemporaneo se del paese non fosse diventato parroco, nel 1885, don Berenger Sauniere (1852-1917).
Personaggio bizzarro, egli nel 1909 rifiutò di trasferirsi in un'altra parrocchia e nel 1910, dopo aver perso un processo ecclesiastico, subì una sospensione a divinis. Pure privato della parrocchia rimase fino alla morte nel paese, che aveva arricchito con nuove costruzioni - tra cui una curiosa "torre di Magdala" - e scandalizzato con una serie di scavi nella cripta e nel cimitero, alla ricerca di non si sa bene cosa.
Diventato più ricco di quanto fosse consueto per un parroco di campagna, si favoleggiò che avesse trovato il tesoro. Tutto poteva spiegarsi, peraltro - come sospettava il suo vescovo - con un meno romantico traffico di donazioni e di messe. In epoca recente si è sostenuto che Sauniere avesse scoperto nella cripta importantissimi manoscritti antichi, ma quelli che sono emersi finora sono falsi evidenti del XIX se non del XX secolo.
E' possibile che - nel corso dei lavori per restaurare la chiesa parrocchiale (un'attività che va in ogni caso ascritta a merito dell'originale parroco) - don Sauniere avesse scoperto qualche reperto medievale, ma in ogni caso non in quantità sufficiente da arricchirsi. Si continua a ripetere anche che Sauniere sarebbe stato in rapporti con ambienti esoterici di PArigi, la nessuna prova esiste di questo. La figura di Sauniere non è priva di interesse: e le sue costruzioni mostrano che si trattava di un uomo singolarmente attento alle allegorie e ai simboli, forse con qualche modesto interesse esoterico, sulla scia di una tradizione locale. Tuttavia la leggenda di Sauniere non sarebbe continuata nel tempo se la sua perpetua, Marie Denarnaud - a cui il sacerdote aveva intestato le proprierà e le costruzioni di Rennes, per sottrarle al vescovo con cui era in conflitto - non avesse continuato per anni, anche per incoraggiare eventuali contendenti, a favoleggiare di tesori nascosti.
E se un altro personaggio, Noel Corbu, dopo aver acquistato dalla Denarnaud le proprietà dell'ex parroco per trasformarle in un ristorante, non avesse cominciato, a partire dal 1956, a pubblicare articoli sulla stampa locale dove - animato certo anche dal legittimo desiderio di attrarre turisti in un borgo remoto - metteva i presunti "miliardi" di don Sauniere in relazione con il tesoro dei catari.
Negli anni sessanta le leggende diffuse da Corbu su scala locale acquistano fama nazionale dopo essere cadute nelle mani di esoteristi - fra cui Pierre Plantard - e di giornalisti interessati ai misteri esoterici come Gerard de Sede, che pubblicò nel 1967 "l'or de Rennes". Tre autori inglesi di esoterismo popolare - Baigent, Leigh e Lincoln - si incaricarono di elaborare ulteriormente le sue idee, trasformandole in una vera industria editoriale, avviata con la pubblicazione de "Il santo Graal". Con questi autori Rennes diventa, per milioni di lettori e di turisti, la capitale del Graal (un tema a cui Sauniere non aveva mai minimamente accennato). Secondo de Sede e i suoi continuatori inglesi, il parroco aveva scoperto il segreto di Rennes le Chateau, dove sarebbe depositato non solo un tesoro favoloso - variamente attribuito al Tempio di Gerusalemme, ai visigoti, ai catari, ai templari, alla monarchia francese, e a cui il sacerdote avrebbe attinto solo per una piccola parte - ma anche - rivelato dalle presunte pergamene ritrovate da Sauniere, dalle iscrizioni del cimitero, dalle forme stesse degli edifici e di quanto si trova nella chiesa parrocchiale - un tesoro di tipo non materiale, la verità sulla storia del mondo.
Nel paesino pirenaico esisterebbero documenti in grado di provare che Gesù Cristo - verità accuratamente nascosta dalla chiesa cattolica - aveva avuto figli da Maria Maddalena, che questi figli portano in sè il sangue stesso di Dio e che pertanto hanno il diritto di regnare sulla Francia e sul Mondo intero. Il Santo Graal sarebbe, più propriamente, il Sang Real, il "sangue Reale" dei discendenti di Gesù Cristo. Discendenti di Gesù e della Maddalena sarebbero stati i re merovingi, il cui regno sarebbe stato usurpato dai carolingi e dai capetingi.
Ma i catari, i templari, i grandi iniziati - dalla stesso Sauniere al pittore Nicolas Poussin, che ne avrebbe lasciato una traccia nel suo quadro "I pastori d'Arcadia" - hanno custodito il segreto come cosa preziosissima, lasciando trapelare di tanto in tanto qualche indizio. Il sangue divino dei merovingi, il vero Graal, non sarebbe solo il sangue più nobile, destinato a regnare sul mondo intero, ma - a chi sappia entrare in contatto con l'energia che sprigiona attraverso appositi rituali - garantirebbe persino l'immortalità.
Non è poco: mancava solo una società segreta che, caduti i merovingi, avesse tramandato nella storia il segreto del Graal, facendo delle varie massonerie un suo pallido strumento. E la società si costituirà negli anni '50 con la fondazione - con tanto di carta da bollo - del Priorato di Sion da parte di Pierre Plantard, nel frattempo pronto a rivelare di essere egli stesso un discendente dei merovingi e il custode del Graal. Il Priorato, affermava Plantard, esisterebbe da oltre 1000 anni. La prova? I famosi documenti trovati da parte di Sauniere e rinvenuti nelle biblioteche, dove però li aveva opportunamente seminati, dopo averli prodotti, lo stesso Plantard.
Questo non ha impedito al "Santo Graal" di Baigent e soci di vendere un paio di milioni di copie nel mondo, spargendo a piene mani le storie più incredibili sull'antichissimo e potentissimo Priorato di Sion.
06/04/2005 10:45
 
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5 - miti, archetipi, paralleli folkloristici

Indubbiamente i romanzi della Leggenda gradalis risentono di influenze celtiche (anche se i celti in quanto tali sono un’invenzione moderna) e orientali - la base è il racconto persiano del viaggio dei magi - ma è certo che i poeti del Graal fossero cristiani e non volessero essere altro.
Il calice e la coppa sono dei veri e propri grandi archetipi, densi di significato in tutto il mondo eurasiatico-mediterraneo.
Nella tradizione dei Salmi biblici, il cantore offre a Dio la coppa della salvezza o riceve, da Lui, quella delle benedizioni o del castigo; il Vangelo parla del calice del dolore, mentre al contrario la coppa che trabocca è tradizionale simbolo di gioia e di abbondanza. Nell’Apocalisse ci si trova dinanzi alle coppe ricolme dell’ira divina; coppe, calici e bacili sono presenti nel mondo paleocristiano e altomedievale come simbolo e come dono. Ma la coppa è centrale anche nei riti vedici e nelle liturgie brahmanistico-induiste; mentre nella tradizione islamo-persiana, che molto deve all’Iran mazdaico, il re Gemshid possiede una coppa nella quale si può vedere l’intero universo: coppe e bacili sono infatti strumenti abituali per riti mantici come per l’elaborazione di filtri potenti. Questa idea della coppa come sede di potenza e di sapienza si ritrova nella tradizione islamica allorchè a una coppa è paragonato il cuore dell’Arif (il saggio, l’iniziato).
Ritroviamo coppe e bacili come simbolo di potere o come oggetti magici nella tradizione greca. Ma è nella tradizione germanica che la coppa ha certamente un significato di trasmissione della regalità. Ad esempio, si conserva nel tesoro del Duomo di monza il calice che la regina Teodolinda avrebbe offerto ad Agilulfo, da lei prescelto nella successione del defunto marito Autari:
“[…]Mentre i suoi legati si trovavano in Francia, il re Autari, dopo aver regnato per sei anni, morì a Ticino (Pavia) il giorno 5 di settembre (590), si dice per veleno. […] Quanto alla regina Teodolinda, poiché piaceva molto ai longobardi, essi le permisero di rimanere nella dignità regia, invitandola a scegliersi tra tutti i longobardi lo sposo che volesse: ovviamente che fosse tale da poter reggere il regno a buon fine. Ella si consigliò con i saggi e scelse come proprio marito e re per la gente longobarda Agilulfo, duca dei torinesi. Era questi un uomo forte e valoroso e sia di corpo che di animo adatto a governare il regno. Subito la regina gli mandò a dire di presentarsi a lei, ed ella stessa gli andò incontro nella cittadella di Lomello. Quando egli fu giunto, la regina, scambiata qualche parola, si fece servire del vino e, dopo aver bevuto per prima, ofrrì il resto da bere ad Agilulfo. Presa la coppa, egli baciò rispettosamente la mano alla regina, ma lei, sorridendo mentre arrossiva, disse che non doveva baciarle la mano chi doveva baciarla sulla bocca. E così, innalzandolo al proprio bacio, gli annunciò le sue nozze e la dignità regia”.
A distanza di circa due secoli il cronista longobardo Paolo Diacono mostra di non intendere troppo chiaramente il valore dell’offerta rituale della coppa: il che conduce a riflettere su come la memoria del significato dei simboli non dovesse avere vita troppo lunga una volta che questi erano decontestualizzati.
Allo stesso modo, nel sistema mitico-simbolico celtico la coppa simbolo di regalità e il bacile-calderone dell’abbondanza e della conoscenza appartenente al dio Dagda si sovrappongono; ma le leggende testimoniano come la coppa colma di idromele o di vino offerta da una ragazza - ricordo che nel Perceval di Chretién è una donna a portare il Graal - a un candidato al trono sia il segno della sua elezione. La coppa più bella viene offerta all’eroe, al più valoroso fra i guerrieri:
“[…]Loegraire il Vittorioso si alzò e mostrò la coppa di bronzo con l’uccello di elettro sul piede. “La porzione dell’eroe appartiene a me” disse “e nessuno me la disputerà!”. “Non è tua”, disse Conall il Trionfatore “i nostri doni non sono eguali: tu hai una coppa di bronzo, ma la mia è di elettro. Da questa differenza risulta chiaro che la porzione dell’eroe spetta a me”. “non è di nessuno dei due” disse Cu Chulainn alzandosi. […] Allora alzò ben alta, e la mostrò a tutti, la coppa di oro rosso con sul piede l’uccello di pietre preziose, i cui occhi erano gemme rosso drago. Tutti i campioni dell’Ulaid che circondavano onchobor figlio di Ness poterono ammirarla”.
Si può allora ipotizzare che la coppa come simbolo al contempo di regalità e di abbondanza sia un archetipo delle culture indoeuropee.
Come il mitema della coppa, anche quello della lancia è ricco di pari intensità e si presenta con la stessa frequenza transculturale. Una coppa e una lancia (quella di Longino, il santo leggendario che trafigge il costato del Salvatore e che deriva il suo nome forse dal greco longkhè, “lancia”) sono entrambi simboli della Passione, ed è anche la loro presenza associata a suggerire che la “processione del Graal” descritta nel Perceval abbia un significato anzitutto eucaristico.
Ma la lancia è a sua volta simbolo di sovranità. Da essa deriva lo scettro, e in greco il termine skeptron (verga, lancia, scettro) si associa al concetto di “fulmine” e ha valore magico quale strumento al tempo stesso di salvezza e di perdizione: come la lancia di Achille che - non diversamente dalla clava del dio celtico Dagda - poteva ferire e risanare le ferite.
Né va sottovalutato il fatto che tra il celtico Dagda e il germanico Wotan-Odhinn, entrambi signori della poesia, della sapienza e del furor guerriero, esistono connessioni profonde. Nella mitologia celtica la lancia è portata al dio Lug dalle Isole del mondo: anch’essa è in qualche modo un fulmine, nel senso che è una lancia di fuoco che infligge colpi mortali. La stessa arma appare nelle mani di molti fra i guerrieri mitici della tradizione celtica, come Cu Chulainn e suo fratello Conall:
[…]“(Cu Chulainn) aveva ormai sette anni. Un giorno Cathbad il duido si trovava con il figlio, Conchobor figlio di Ness [e re dell’Ulaid], e stava insegnando l’srte druidica a cento uomini (tale era sempre il numero dei suoi allievi). Gli fu chiesto in che modo quel giorno sarebbe stato propizio. Cathbad rispose che se in quel giorno un guerriero avesse preso le armi per la prima volta il suo nome sarebbe stato tramandato in tutta l’Eriu e le storie delle sue imprese sarebbero state narrate per sempre. Cu Chulainn intese tali parole; andò da conchobor e reclamò le armi. “Chi ti istruì?” chiese il re. “il mio padre adottivo Cathbad” disse Cu Chulainn. “Invero, lo conosciamo” disse Conchobor. E diede al ragazzo uno scudo e una lancia. Cu Chulainn brandì le armi nel centro della casa, e non un sol pezzo rimase intero delle quindici lance e dei quindici scudi che il re teneva in serbo per i nuovi guerrieri o per sostituire quelle rotte. Infine, gli furono date le armi di Conchobor, e queste resistettero. Il ragazzo le brandì, salutò il re e disse: “Felice la stirpe e il popolo il cui re possiede armi simili”.
La lancia è anche in grado di uccisere chi la possiede: come nel caso del guerriero Cetchar, ferito a morte da una goccia di sangue colata dalla punta.
Quanto alla coppa, cioè al Graal vero e proprio, nel Perceval di Chretién essa contiene l’ostia che nutre il Re Pescatore: il che l’accosta ovviamente al piatto miracoloso che reca il Corpus Christi. Nel racconto, inoltre, essa non sembra dispensatrice d’abbondanza, come nella tradizione celtica; tuttavia questo elemento sembra tornar fuori in altri romanzi del ciclo, e in particolare nella Queste del Saint Graal.
Un motivo di origine celtica è quasi sicuramente la testa tagliata e recata nel piatto (il Graal) che appare nel Peredur, anche tale immagine in ambito cristiano non ricordare la decollazione di San Giovanni Battista. Troncare la testa ai nemici era un’abitudine comune per i guerrieri celtici. Non si trattava però di un uso dal significato esclusivamente guerriero, perché presso i celti la testa mozzata aveva anche una funzione culturale. Lo si deduce chiaramente, per esempio, dal Mabinogi noto come Branwen, figlio di Llyr: il protagonista, Bran il Benedetto, ferito, ordina ai suoi uomini in difficoltà di mozzargli la testa che li accompagnerà e li guiderà nel corso di un lungo viaggio; quando infine viene sepolta essa è talmente potente da allontanare ogni calamità dalla terra in cui giace. Il tema della testa tagliata, e del valore della testa (e del cranio scarnificato) sul piano magico, è ben noto in molte culture, soprattutto - ma non soltanto - indoeuropee e uraloaltaiche (e tramite queste americane). Si tratta di teste umane, ma anche animali. Che in area eurasiatica si ricavassero coppe dai crani dei nemici uccisi (come nel noto episodio di Alboino) collega molto fortemente il tema del sacrificio con quello della regalità e del potere.
La leggenda graalica sarebbe insomma la versione medievale, pervenuta attraverso un’eredità celtica folklorizzata e reinterpretata in termini cristiani, del racconto archetipico dell’iniziazione d’un giovane re destinato a mantenere e\o a ristabilire la prosperità del suo regno, minacciata dalla vecchiaia, dalla malattia e\o dall’impotenza d’un vecchio Re Ferito (la Terra Desolata). Con il Graal siamo entrati in contatto con il risultato di una serie di acculturazioni - dal mondo biblico a quello latino, da quello celtico a quello germanico con le rispettive, e per molti versi coincidenti, radici indoeuropee - che finiscono con lìindicarci il medesimo tema mitico: la conquista della regalità, l’acquisizione della potenza-sapienza che rende immortali, la purificazione iniziatica necessaria per riuscire nell’impresa.
A livello soggettivo, è grottesco dubitare dell’immaginario e della fede, cristiani entrambi, dei poeti del Graal; ed è incontrollata fantasia attribuire loro una volontà esoterica e un messaggio segreto che solo un’elite di iniziati sarebbe in grado di comprendere: volontà e messaggio che si presenterebbero in modo del tutto incongru rispetto ai parametri culturali dell’occidente medievale. Esoterismo e occultismo sono atteggiamenti tipicamente moderni.
08/04/2005 18:02
 
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6 - Il ritorno del Graal

Nel 1485 lo stampatore inglese William Caxton pubblicava un romanzo-fiume di un cavaliere e avventuriero inglese del periodo della guerra delle Due Rose: la Morte Darthur di Thomas Malory, nella quale ancora una volta si riassumeva e si elaborava l’ormai quasi trisecolare materia arturiano-graalica.
La descrizione del corteo del Graal data dal Malory sembra aver perso ormai ogni nesso con la tradizione celtica, come appare chiaro dalla descrizione degli oggetti sacri; mentre all’inizio della Storia del Sangrail - corrispondente ai libri XIII-XVII della Morte Darthur - i cavalieri non riescono neppure a scorgere il Graal, che appare loro coperto da uno sciamito bianco:
[…]“Sembrò che nella sala entrasse un uomo vestito da vescovo e con una croce in mano, portato su un seggio da quattro angeli discesi dal cielo che lo deposero davanti alla tavola d’argento su cui era il Sangrail. […] Poi la porta si aprì e vennero avanti quattro angeli; due portavano candele di cera, uno un panno e il quarto una lancia che sanguinava e da cui tre gocce di sangue caddero in uno scrigno che l’angelo recava nell’altra mano. Le candele furono posate sulla tavola e il panno sul sacro vaso con sopra, diritta, la lancia prodigiosa. Il vescovo cominciò a celebrare la messa e quando, all’elevazione, prese in mano un’ostia di pane, apparve la figura di un bambino […] che si gettò nel pane […]. I cavalieri sedettero pregando colmi di timore, e allora videro uscire dal Sangrail un Uomo che portava aperti e sanguinanti i segni della Passione di Gesù Cristo…”.
Fu, quello, il canto del cigno dell’ispirazione connessa con il Santo Graal: fino al romanticismo esso non sarebbe più stato fonte di poesia. Tra cinque e settecento non si registra neppure una rimeditazione del “mito” o del simbolo graalici. La letteratura cavalleresca, che pure conobbe molti e complessi revivals, seguì percorsi deifferenti.
E’ caratteristico dell’ “eclisse del Graal” un fatto che ha il valore di un simbolo. Nella Boemia del quattrocento esplodeva la questione hussita: battuti gli hussiti estremisti (i “taboriti”), la scena boema fu a lungo dominata dagli hussiti moderati, che rivendicavano l’uso della comunione sotto le due specie e quindi del calice della messa anche da parte dei fedeli oltre che del sacerdote, e che per questo erano detti calixtini. La Boemia quattrocentesca è dominata dall’effigie del calice: eppure non circolano negli ambienti hussiti i romanzi graalici, la simbolica dei quali era evidentemente giudicata profana e paganeggiante.
Per motivi differenti - connessi forse anche con l’importanza del mito carolingio, resuscitato nell’Europa del Rinascimento sia dall’impero asburgico sia dalla monarchia francese che se ne sentivano eredi (e se ne contendevano l’eredità morale), e con la lotta contro i turchi ottomani che davano nuovo smalto alle gesta dei paladini di Carlo in lotta contro gli infedeli - la poesia epica d’argomento carolingio battè decisamente quella arturiana, per quanto non mancassero esempi e situazioni di commistione dai quali comunque la menzione del Graal era esclusa. Troppo “sospetta” per il cattolicesimo controriformista, troppo “pagana” per l’austerità protestante.
Bisognò aspettare la fine del XVIII secolo perché il medioevo e in genere le “età oscure” fossero fatte oggetto di rinnovata attenzione, mentre si andavano in parte riscoprendo e in parte reinventando (esempio la letteratura ossianica) le fonti celtiche e germaniche della cultura europea e della sua tradizione.
Intanto nell’Inghilterra romantica la leggenda del Graal si reimponeva alla coscienza e all’ammirazione del primo romanticismo. Nel 1792 Walter Scott (inventore del romanzo storico con Ivanhoe) andava annotando il romanzo del Malory. Nella prima metà dell’ottocento, poi, molte furono in Inghilterra le riedizioni e le riduzioni dei poemi arturiani, mentre veniva riscoperta anche la raccolta dei Mabinogion. E’ del 1842 la prima apparizione a stampa del Sir Launcelot and Queen Guinevere, della Morte a’Arthur e del Sir Galahad di Tennyson, mentre tra il 1849 e il 1862 gli affreschi di William Dyce nel palazzo di Westminster illustravano la visione di Galahad.
Anche i temi arturiani di Dante Gabriele Rossetti datano a partire dal 1855-59. La cultura romantica britannica, e in particolare la produzione preraffaellita, si configurava quindi come profondamente segnata dai sogni cavallereschi, nei quali il Graal assumeva ora una connotazione mistico-religiosa, ora invece una etico-misterica, non senza riferimenti e accenni all’estasi erotica, metaforicamente purificata in termini spirituali.
Tutte le tendenze parvero aggregarsi nell’opera dell’uomo cui più di ogni altro si deve il mito del Graal nel novecento: Richard Wagner.

08/04/2005 18:32
 
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7 - Richard Wagner

A Wagner si deve parte dell’immaginario moderno sull’epopea graalica (e altro; si è inventato di sana pianta gli elmi cornuti dei vichinghi, che oggi tutti credono reali). Il Graal lo affascinava dal 1845, quando si era accinto a trascrivere in parole e musica nuove l’antica saga tedesca che a sua volta rinarrava le gesta di Garin il Lorenese, il Lohengrin ripetutamente cantato, nel duecento, da poeti turingi e bavaresi. Lohengrin era già stato ricordato da Wolfram nel Parzifal come figlio dell’eroe. Nell’opera wagneriana, il misterioso Cavaliere del Cigno che può rivelare la sua identità solo a prezzo di scomparire poi alla vista dei mortali non solo è figlio di Parsifal, ma proviene dal castello del Graal in Montsalvat e là dovrà tornare, dopo esser stato costretto a rivelare la sua identità, rapito dal suo misterioso compagno, il cigno trasformato in colomba.
Nel Parsifal, in tre atti, la leggenda medievale viene non solo modificata, ma si può dire del tutto reinterpretata: i fatti sono - in parte - più o meno i medesimi narrati da Wolfram; i caratteri e il senso del racconto sono però profondamente differenti. Se il Lohengrin era stato, nel suo messaggio finale, una sconfitta del Graal - simboleggiata dalla mesta e solenne uscita di scena dell’eroe, la testa chian sullo scudo - il Parsifal ne è il trionfo, ma attraverso l’esperienza del peccato e la vittoria interiore su di esso.
Nessun dubbio può esservi sul fatto che la diretta ispirazione di Wagner sia stata il poema Parzival, di Wolfram von eschenbach, ma quanto davvero vi sia di wolframiano, nell’opera di Wagner, è arduo a dirsi.
Wagner aveva senza dubbio giocato sull’ambiguità tra ritualismo iniziatico di tipo neopagano (il suo Tempio-Castello del Graal, che tanto richiama la chiesa, è in realtà un teatro) e liturgia cristiana; tra le allusioni al peccato, alla penitenza e alla redenzione cristiane e quelle alla colpa e all’espiazione che appartengono piuttosto alla tragedia greca. L’ideolgia di Wagner passò poi a Hitler e al nazionalsocialismo, ma la religione del Graal di Hitler si esauriva principalmente nei reiterati flirts con la famiglia Wagner durante i festival di Bayeruth.

08/04/2005 20:36
 
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OT doveroso
O metti qualche spazio ogni tanto o ti chiederò i danni per le diottrie sacrificate. ;)

08/04/2005 20:59
 
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OT
Lavoro segretamente per un ottico...8)

Hai ragione, sorry.
08/04/2005 21:11
 
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8 - L’ambiente dei culti

A partire dagli ultimi decenni dell’ottocento il Graal diventò, quindi, un simbolo conosciuto non soltanto dagli specialisti, ma anche da un pubblico molto più vasto. Anche se la pista dell’interesse crescente per tutto quanto riguarda il medioevo non va trascurata, vediamo ora il ruolo che, nell’elaborazione di una mitologia socialmente diffusa del Graal, hanno giocato i movimenti a carattere esoterico.

Negli ultimi due secoli sono nate in occidente diverse migliaia di nuovi movimenti religiosi. La sociologia ha attirato l’attenzione sull’esistenza, alle spalle di questa fioritura, di un cultic milieu, un ambiente dei culti, una sorta di calderone a cui si interessano masse crescenti di persone affascinate da idee nuove o alternative, da cui emergono continuamente nuovi movimenti religiosi e in cui ricadono i detriti dei gruppi che - nella lotta darwiniana per la sopravvivenza che si sviluppa tra migliaia di organizzazioni e di sigle - soccombono e non riescono ad avere successo. All’interno del cultic milieu un ambiente particolare è il milieu “magico”, da cui nasce quel tipo particolare di nuovi movimenti religiosi che vengono detti “nuovi movimenti magici”. Essi organizzano una socializzazione dell’esoterismo intorno a una serie di miti fondatori, nei confronti dei quali viene rivendicata una discendenza per via di successione (tramite una catena iniziatica segreta che non si sarebbe mai interrotta nel tempo) o almeno d’ispirazione ideale. I miti fondatori più diffusi si riferiscono all’Egitto, ai Rosacroce, ai templari, agli gnostici, ai catari e - appunto - al Graal.

In teoria è possibile distinguere diverse famiglie di nuovi movimenti magici a seconda del mito fondatore prevalente: neo-gnostici, neo-templari, neo-rosacrociani, e così via. Ma - a differenza di quanto avviene prevalentemente nel mondo dei nuovi movimenti religiosi in senso stretto - i fedeli dei nnuovi movimenti magici praticano la doppia, la tripla, la multipla appartenenza. Non soltanto la stessa persona apparterrà spesso a più di un movimento, ma lo stesso movimento farà riferimento a un intreccio di miti di fondazione. Nei movimenti neo-rosacrociani troviamo di frequente riferimenti anche ai templari, agli gnostici, alle piramidi; e nei movimenti neo-templari raramente mancherà un riferimento ai rosacroce o al Graal.

Quattro fonti meritano in particolare di esser menzionate per l’influenza che hanno esercitato sulla ricezione del simbolo del Graal nel mondo dei nuovi movimenti magici. Anzitutto - e di certo è l’influenza dominante - l’arte e la musica. E’ difficile trovare un movimento magico che, quando parla del Graal, non faccia riferimento - dichiarandolo o no - a Wagner e alle sue opere Lohengrin e Parsifal. Alcuni movimenti propongono, anzi, un vero e proprio culto di Wagner. Né si deve sorrovalutare l’influsso della pittura dei preraffaelliti e in particolare di Dante Gabriele Rossetti, che si è sovente ispirato al Graal e al ciclo arturiano per i suoi dipinti.

La seconda influenza è quella della psicologia del profondo, a partire da Jung e dai suoi allievi, per cui il Graal diventa un centro di meditazione interiore che ciascuno di noi può riscoprire, dove potrà ascoltare la voce degli archetipi divino più profondi che ha un’importante funzione anche da un punto di vista terapeutico (il Graal in fondo era una coppa guaritrice).

In terzo luogo ci sono gli influssi sull’ambiente magico del Graal della letteratura e del cinema proposto da autori come Rohmer, Cocteau, senza escludere che alcuni movimenti contemporanei siano influenzati anche dai romanzi stile Marion Zimmer Bradley o da film come Excalibur.

Infine, l’ambiente dei nuovi movimenti magici tiene conto anche degli studi scientifici e accademici sul Graal, tanto più da quando sono diffusi da una vasta propaganda editoriale.

09/04/2005 22:00
 
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9 - Che cos'è il Santo Graal?
Arj, questo post è tutto per te!!!

Per la maggior parte degli occidentali, il Santo Graal consisterebbe in una coppa, assocuata in qualche modo a Gesù Cristo. La coppa, tuttavia, non è l'unico oggetto che è stato associato con il Graal. Infatti, secondo alcuni il Graal non sarebbe un oggetto fisico di alcun tipo, ma una linea dinastica di sangue o un'idea spirituale, presentata attraverso metafore. Una cosa è certa: nonostante (o forse proprio per) le sue qualità elusive, il Graal creò, e continua a creare, un grande fascino. Il Graal promette mistero, segreto, avventura e il premio di una consapevolezza accessibile da tutti, ma trovata soltanto da alcuni.

La Coppa di Cristo

Quando uscì al cinema Indiana Jones e l'Ultima Crociata, divenne chiaro per molti che la leggenda del Graal non era morta. Il film apparentemente descrive il Graal come la coppa di Cristo. Ma esaminando più in dettaglio il copione, si nota come il Graal è descritto anche come una sorta di consapevolezza, di un cammino verso Dio. In particolare il Professor Jones replica alla domanda "Che cosa hai trovato?" con la risposta: "L'Illuminazione". Il Professor Brody, inoltre, aggiunge che "La ricerca della Coppa di Cristo è la ricerca del Divino che è in noi."
In ogni caso, il film è un perfetto esempio di come gran parte delle persone considerino il Graal come la Coppa di Cristo. Il Calice utilizzato durante l'Ultima Cena dal quale i discepoli bevvero il vino che si era tramutato nel sangue di Gesù, e la stessa coppa in cui Giuseppe d'Arimatea raccolse il sangue di Gesù versato durante la crocefissione.
Le leggende che descrivono gli eventi occorsi al Graal e a Giuseppe sono molte e diverse. La più celebre racconta che Giuseppe, sua sorella e suo cognato avrebbero lasciato Gerusalemme, navigando verso la Francia. Qui, Giuseppe lasciò la sorella e suo marito, imbarcandosi per l'Inghilterra, dove fondò la prima chiesa Cristiana a Glastonbury. Alcune leggende sostengono che egli avrebbe affidato la coppa a suo cognato (Bron), altre che l'avrebbe portato con sé a Glastonbury, che ancora oggi è un luogo associato alle leggende sul Graal.
Attualmente le leggende del ciclo arturiano includono la storia della Coppa di Cristo. Non fu sempre così. Già esisteva nelle storie relative ad Artù un oggetto chiamato Graal, che venne soltanto in seguito cristianizzato e identificato con la Coppa di Cristo. Il Graal era un a misterioso oggetto mai descritto in dettaglio. La prima storia a menzionarlo, scritta da Chrétien de Troyes, restò incompleta, permettendo a molti scrittori di dare ognuno la propria interpretazione sulla storia. Gli studiosi si dividono intorno alla interpretazione da dare a questo materiale letterario: se per alcuni sono le migliori opere di pseudo-storia, per altri si tratterebbe di semplici e ingenue costruzioni romantiche.
La coppa viene associata ad alcuni poteri:
- Capacità taumaturgiche e curative.
- Conoscenza del divino e possibilità di comunicare con Dio.
- Immunità dal male o da sguardi malvagi.
- Capacità di dispensare cibo o doni in genere.
- Richiamo per tutti coloro che ne sono degni.

L'Urim e il Thummim

Lady Flavia Anderson presentò una teoria completamente nuova sul Graal nel suo libro The Ancient Secret. Ella scrive che il Graal è una sfera di vetro riempita d'acqua, sorretta dai rami di un albero. La scrittrice sostiene che i due oggetti, albero e sfera, sarebbero appartenuti alla tradizione ebraica e chiamati Thummim e Urim. Questi oggetti erano utilizzati per accendere il fuoco: i raggi solari passavano attraverso la sfera e incendiavano gli sterpi che si trovavano a terra. Il potere di produrre fiamme fu il motivo principale per cui questi oggetti furono a lungo considerati sacri.
Spesso, fuochi perpetui venivano mantenuti accesi in luoghi sacri da vergini )le Vestali, ad esempio). La scrittrice fa, inoltre, notare che nella letteratura arturiana si ritrovano molte immagini e metafore che si riferiscono alla luce e ai raggi di luce (per esempio la lancia e la spada). Il Graal, inoltre, è spesso descritto come una pietra e ci sono molti riferimenti nella letteratura ad un albero del Graal. Erano donne le addette al mantenimento del fuoco appiccato tramite tali oggetti, ed erano ancora donne le guardiane del Graal nelle leggende Arturiane. Indubbiamente oggetti tali esistettero e si sa che vennero utilizzati dagli ebrei al tempo di re Salomone. L'ipotesi di Lady Flavia Anderson giunge a sostenere che tali oggetti sarebbero stati sepolti insieme all'Arca dell'Alleanza in una grotta sotterranea in qualche luogo della Giordania. Può essere interessante notare come la sequenza finale del film Indiana Jones e l'Ultima Crociata sia stata girata nelle antiche rovine della città di Petra, in Giordania, e non ad Iskenderun, come si dice nel film.

La dinastia di Gesù

La parola utilizzata per descrivere il Graal cambiò molte volte. In una versione fu sangreal. Tale parola è stata divisa in San Greal, ovvero "Santo Graal". Tuttavia, alcune teorie sostengono una differente divisione della parola: Sang Real, o "Sangue Regale". I sostenitori di questa tesi scrivono che Gesù Cristo ebbe uno o più bambini da Maria Maddalena. La dinastia che ne seguì, acquistò il nome di "Sangue Regale", e secondo alcuni continuerebbe tutt'oggi.
La teoria del Sangue Regale è stata presentata recentemente nel libro "Il Santo Graal - una catena di misteri lunga duemila anni". In questo saggio si sostiene che Gesù non sarebbe morto sulla croce, ma sposato con Maria Maddalena. Gli autori presentano molte prove storiche per dimostrare la loro tesi, e sostengonbo che molte società segrete avrebbero custodito il segreto di questa linea di sangue attraverso i secoli, fino ai giorni nostri. Essi associano personaggi storici e luoghi con altri che dicono di aver individuato nei romanzi graaliani del Medioevo. Vogliono giungere a dimostrare come la linea di sangue di Gesù sia stata coinvolta in molte vicende storiche. Purtroppo, però, i documenti su cui si basa questa teoria sono dei falsi storicamente documentati.

I Calderoni Celtici

Molti storici hanno notato molte somiglianze tra i racconti del folclore Celtico e le storie del ciclo arturiano. Ci sono molti magici calderoni nei racconti Celtici, e alcuni hanno caratteristiche molto simili a quelle del Graal. Nel poema The Preiddeu Annwn, viene descritto Artù e i suoi uomini che vagano per l'Aldilà Celtico per impossessarsi del Calderone di Annwn che era ricco di perle ed era protetto da nove fanciulle. L'oggetto aveva il potere di ridare la vita ai guerrieri morti. Si è notato che anche nella tradizione cristiana del Graal la coppa è sempre portata o custodita da donne, ed ha poteri curativi. Un altro Calderone, quello di Awen, conteneva una pozione in cui, chi veniva immerso, avrebbe acquistato immediatamente la Conoscenza. Un giovane, Gwion, fu inviato al Calderone dalla dea Ceridwen. Egli toccò il liquido per tre volte con le sue dita, e le mise sulle sue labbra. Così, acquistò la Conoscenza Assoluta. Ancora si è notato come il Graal delle leggende Arturiane sia anche associato ad una conoscenza e consapevolezza speciali. Molti autori hanno tentato di mostrare che i calderoni celtici sono in qualche modo precursori della moderna immagine del Graal. Questo, insieme alla quasi certa derivazione di alcuni eroi arturiani, come Kay e Bedivere, dalla mitologia celtica, è stato studiato in molti testi.
In genere gli autori desiderano far notare che, nonostante l'influenza celtica nella leggenda, non c'è modo di spiefare tutti gli eventi e le descrizioni che si hanno del Graal all'interno del vastissimo ciclo arturiano. Né spiegano il motivo dell'improvviso interesse al tempo di Chrétien intorno al Graal. Per tutti questi motivi questa teoria non esaurisce le domande che sorgono sull'oggetto chiamato Graal. Attualmente, infatti, molti scrittori hanno abbandonato l'idea di un'origine soltanto celtica dei testi arturiani.

Lo Smeraldo di Lucifero

La storia degli angeli che si ribellarono a Dio fa formulare un'altra teoria circa il Graal. La storia racconta di come Lucifero (nonostante il suo nome sia utilizzato per rappresentare il Diavolo, un tempo non aveva alcuna associazione con il demonio, ma significava soltanto "portatore di luce") condusse un terzo degli angeli in una rivolta contro Dio. Fu sconfitto, e scagliato giù dal Paradiso. Dalla sua corona si staccò un grande smeraldo. Si dice che tale pietra fosse all'origine dei suoi poteri. E' interessante notare come nelle prime leggende arturiane il Graal è descritto proprio come una pietra caduta dal cielo.

La Pietra Filosofale

L'alchimia fu a lungo considerata come una scienza falsa. Il fine dell'alchimia era quello di creare una pietra in grado di tramutare tutti i vili metalli in oro. Si pensa oggi che l'alchimia consistesse principalmente in un insegnamento spirituale, considerato eretica a causa della repressione dell'Inquisizione. Per questo fu necessario scrivere in codice alcuni concetti: si parlava di "oro" ma si voleva rappresentare l'illuminazione o l'unità con Dio. Il vile metallo rappresentava l'uomo prima del processo alchemico, e l'alchimia era un cammino spirituale verso Dio. La Pietra Filosofale si può associare, dunque, al Graal: entrambe hanno il potere di portare a Dio.
Si deve sottolineare il fatto che la Pietra Filosofale non è da considerarsi come una vera pietra: come il Graal, si tratta soltanto di una metafora che rappresenta lo stadio finale dell'illuminazione. A volte, questa teoria è collegata con quella dello Smeraldo di Lucifero, per suggerire la possibile esistenza di una tale pietra.

Il Graal come consapevolezza

Nel suo libro "La lancia del destino", Trevor Ravenscroft racconta la storia della Lancia di Longino, la quale trafisse il fianco di Cristo mentre si trovava sulla croce. Tracciando la storia della lancia attraverso i secoli, sottolinea il fatto che essa si sia sempre trovata in possesso di persone che ebbero una profonda influenza sugli eventi storici.
Suo maestro era Walter Stein, i cui libri si concentravano in particolare su Hitler e sulla ossessione che aveva per questo oggetto. In questo libro, il Graal viene presentato come una sorta di conoscenza o consapevolezza che suggerisce il modo di utilizzare tale lancia in un modo sovrannaturale. Non è presentata alcuna prova, né viene riportato alcun riferimento alla letteratura disponibile sull'argomento.
Ravenscroft sostiene che c'erano due modi di raggiungere tale consapevolezza: tramite la pratica della magia nera o, più difficilmente, tramite lo studio dell'ABC della magia. I termini sono tratti dall'introduzione dell'autore all'opera di Wolfram Von Eschenbachs Parzival. Una volta che tale consapevolezza è raggiunta, la lancia acquista un potere che può essere utilizzato per compiere il bene o il male. L'uso è determinato dal modo in cui si è raggiunta la consapevolezza del Graal. Praticando la magia nera, la lancia compie soltanto il male, altrimenti si è in grado di scegliere l'uso che se ne vuole fare.
Il Graal della New-Age
Intorno al Graal sta nascendo la nuova teoria della corrente di pensiero New Age (Teoria del Graal Acquariano). Questa teoria vede le leggende arturiane come la descrizione allegorica di un cammino spirituale che conduce a Dio. Si crede che il Graal non sia un oggetto reale, ma soltanto l'unione che si può avere con Dio già su questa terra. Così, il Cercatore tenta, studiando le leggende e compiendo ricerche, di trovare il Graal dentro di sé. Molti libri sono stati scritti a proposito di questo argomento: uno dei più celebri autori è John Matthews.
La teoria del Graal Acquariano sostiene che tutte le religioni hanno un nucleo di verità comune, che può essere ben rappresentato dal simbolo del Graal. Così, il Graal diventa un concetto mistico o un livello di consapevolezza spirituale e non un oggetto reale. Non si deve dimenticare il fatto che le leggende arturiane furono scritte in un periodo in cui molte idee erano tenute nascoste, perché sarebbero state considerate pericolose o eretiche. A quel tempo, furono per primi i Cavalieri Templari a svolgere un lavoro di sintesi del pensiero occidentale ed orientale: infatti Wolfram Von Eschenbach nella sua epica opera del Parzival descrive un gruppo di cavalieri che sono guardiani del Graal. Il lettore comprende subito l'intenzione dell'autore di alludere ai Templari. I trovieri e i trovatori dell'epoca hanno sicuramente avuto contatti con storie e leggende sorte dall'oriente. Così, come avvenne per l'alchimia, potrebero aver nascosto concetti eretici sotto metafore e simboli in storie accettabili da parte delle istituzioni religiose.

Religioni graaliane

In quest'ultimo secolo sono sorte alcune religioni che si fondano sul Graal, considerato come ideale spirituale. Sono ripotati qui di seguito i tratti di due di esse. Queste religioni sembrano fondarsi su una morale cristiana, ma non condividono l'idea di un solo sentiero per raggiungere la verità.
La Fondazione del Graal
Si tratta di una comunità internazionale con sedi in Australia, Gran Bretagna e America e altri stati. I seguaci seguono i dettami di un libro scritto da Abd Ru Shin. Egli visse in Germania e morì nel 1950. Essi sostengono che egli fosse il Graal vivente, ma sono incapace di giustificare il motivo di ciò. Vestono con uno speciale sigillo. Gli uomini coprono metà di esso, per simboleggiare la minor capacità per i maschi di raggiungere un alto livello spirituale. Le donne, invece, non lo coprono affatto. Tengono conferenze pubbliche, e le loro pubblicazioni possono essere acquistate in tutte le maggiori librerie.
Il Calice d'argento
Un piccolo gruppo di persone che si riuniscono periodicamente ad Edinburgo sostengono che le storie di Artù e dei suoi cavalieri riguardano persone che si trovano intorno a noi sotto forma di energia, ma che soltanto pochi sono in grado di trovare. Ogni energia ha un colore, e il colore del Graal è l'argento. Secondo costoro il calice d'argento è una parte del nostro corpo che si trova all'interno del collo, alla base del cranio, la quale dà nutrimento al cervello. L'energia dell'argento può essere utilizzata per aumentare le capacità del cervello così da rendere le persone in grado di trasformarsi in energia ed ottenere, così, super-poteri. Dicono di possedere prove documentate di strani depositi d'argento all'interno dei crani, ma nonostante la mia richiesta, non mi hanno mostrato tali prove incontrovertibili.

Il Graal e la psicologia.

Carl Gustav Jung fu affascitato dal Graal e dall'alchimia. Nonostante non abbia scritto nulla sul Graal, lo fecero sua moglie e uno dei suoi più cari amici. Jung ha un approccio alla leggenda del Graal prettamente simbolico: i simboli rappresentano l'inconscia espressione dela religiosità popolare del Medioevo. Egli considera personaggi principali, ad esempio Merlino ed Artù, come archetipi dell'inconscio collettivo e gli oggetti del Graal (ovvero la lancia, la spada, la coppa e la pietra) come potenti simboli religiosi. Jung credeva che qualcosa fosse andato perduto nella religiosità Cristiana quando questa si diffuse a livello quasi mondiale: le versioni cristianizzate delle storie del Graal avrebbero, secondo lui, colmato questa mancanza nella cristianità. Egli fece notare come l'alchimia e le leggende sul Graal si svilupparono intorno a simboli, colori e insegnamenti comuni, entrambe nello stesso periodo. Per questo, molti eventi del ciclo Graaliano sono stati analizzati in termini di psicologia Junghiana. Lo studioso mostrò come gli scrittori espressero inconsciamente nelle loro opere molti elementi della loro psicologia e della psicologia del loro tempo, codificandola negli eventi descritti.

Altre strane teorie.

La teoria vegetale - Fu avanzata nel 1906 da J.L.Weston che mostrò connessioni tra i rituali orientali della vegetazione e le storie della letteratura Arturiana.
Teorie onomastiche - Si fondano sulle più disparate interpretazione della parola Graal nella storia. Molte sono davvero bizzarre e poco verosimili.
La Sindone di Torino - Potrebbe esser stata custodita dai Templari. Essi sono associati al Graal dal Parzival. Qualcuno suggerisce che Graal e Sindone siano la stessa cosa.
L'albero della vita - E' un concetto Cabalistico: si tratta della via tramite cui raggiungere l'unità spirituale con l'universo. Si questo albero si trovano dieci sfere, ognuna delle quali associata con alcuni valori. Alcuni autori hanno tentato di collegare i luoghi arturiani con le parti dell'albero: tra i vari autori, si può segnalare Gareth Knight nel suo The Secret Tradition in Arthurian Legend.
C'è ancora chi (come Mary Caine e Katherine Maltwood) ha avanzato teorie zodiacali circa il Graal; ancora Jessie Weston ha suggerito il fatto che gli Oggetti del Graal (spada, lancia, pietra e coppa) potrebbero aver influenzato le carte dei Tarocchi. Oggi esistono ancora mazzi, come l'Arthurian Tarot e il Merlin Tarot che si associano direttamente con le leggende graaliane.


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Omnia sunt communia

[Modificato da Arjuna 11/04/2005 10.57]

11/04/2005 10:58
 
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Grazie Stauro.[SM=x78000]

Ho modificato un po' il tuo lunghissimo post per renderlo più leggibile.

11/04/2005 12:03
 
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Fai pure tutto ciò che vuoi ai post, lupo. Tagliali, spezzali, cucili, se li rendi più leggibili tutto di guadagnato!
13/04/2005 21:47
 
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Posto i luoghi in cui si dice sia custodito il Graal, Arj.
Poi la pianto, giuro![SM=x78000]
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Glastonbury Tor (INGHILTERRA)


Nel 63 d.C. Giuseppe d’Arimatea, discepolo di Gesù, lasciò la Terra Santa per una missione segreta. Dopo un lungo e pericoloso viaggio per mare l’imbarcazione di Giuseppe raggiunse uno stretto estuario a est dell’Inghilterra. Innanzi a lui, si ergeva la sua destinazione ultima: Glastonbury Tor, l’isola di vetro. Una volta sbarcato, Giuseppe alzò il suo bastone al cielo in segno di ringraziamento e lo affondò poi nel terreno. Con sé, aveva portato un prezioso tesoro: si trattava di una coppa contenente il sangue di Gesù Cristo, il Sacro Graal. In Inghilterra il Graal restò a lungo. Per secoli la sua custodia venne tramandata ad una discendenza di guardiani. In un anno imprecisato del primo millennio i monaci di Glastonbury annunciarono la scoperta di due ampolle che sarebbero state sepolte con Giuseppe d'Arimatea. Erano state menzionate in precedenza (verso il 540) da Maelgwyn di Gwynedd, zio di san Davide, che scrisse:
Giuseppe aveva con sé nel suo sarcofago due ampolle bianche e argento piene di sangue e sudore del profeta, Gesù.
Le ampolle sono raffigurate nelle vetrate colorate della chiesa di St. John a Glastonburv, nella chiesa di Langport in Somerset e sulla parete divisoria fra la navata e il coro a Plymtree nel Devon. Non furono mai esposte al pubblico e questa mancanza di una conferma visibile della loro esistenza diede origine alcuni secoli dopo a una nuova tradizione di Glastonbury: il roveto incantato. Nel 1520, la letteratura locale parlava di un cespuglio a Wearyall Hill che si copriva di foglie e di fiori a Natale oltre che a maggio. Il cespuglio venne distrutto durante la Guerra Civile britannica (1642-1651), ma alcuni germogli furono ripiantati lì intorno e ogni pianta fiorì di nuovo nella stessa maniera. Gli esperti botanici stabilirono che il cespuglio non era originario dell'Inghilterra, ma sembrava di origine levantina. E così ebbe inizio una nuova mitologia del Somerset.
Nel 1716 un locandiere locale affermò che l'insolita pianta di rovi nasceva dal bastone che Giuseppe di Arimatea aveva piantato perché fiorisse a Natale. L'idea che la "verga" di Giuseppe dovesse fiorire in quel modo derivava originariamente da un versetto profetico del libro di Isaia 11, 1 che dice: «E uscirà un rampollo del tronco di Iesse [il padre di Davide] e una pianterella spunterà dalle sue radici». In alcune opere d'arte e scritti apocrifi della Chiesa, il bastone fiorito della stirpe reale è raffigurato in mano del padre di Gesù, Giuseppe.
Fu soltanto nel XIX secolo, grazie agli Idylls of the King di Alfred Tennyson che Glastonbury venne specificamente collegata al Santo Graal. L'insolita acqua rossastra del Chalice Well di Glastonbury venne associata al sangue di Gesù. Il pozzo fu debitamente ribattezzato Chalice Well e si disse che il colore dell'acqua derivava dal contenuto del calice del Graal che Giuseppe aveva seppellito lì vicino. Il famoso coperchio del pozzo, completo di griglia di ferro battuto in stile celtico, fu disegnato dall'architetto Frederick Bligh Bond dopo la Grande Guerra. Nonostante l'assortimento di elementi sacri e arturiani a Glastonbury (alcuni veri e altri falsi), l'associazione personale di Giuseppe di Arimatea alla Britannia ricevette attestazioni storiche molto più valide. Fu oggetto di dibattito in vari Concili ecclesiastici europei, dove gli inglesi poterono vantare un collegamento con il cristianesimo molto precedente a quello di Roma. Al Concilio di Pisa nel 1409 si discusse persino se fosse venuto in Occidente prima Giuseppe o Maria Maddalena. Negli Annales Ecclesiasticae del 1601, il bibliotecario vaticano cardinale Baronio annotò che Giuseppe di Arimatea giunse per la prima volta a Marsiglia nel 35 d.C. Da lì, andò in Britannia con i suoi compagni a predicare il Vangelo. Questo veniva confermato molto prima dal cronista Gildas III (516-570) nel De Excidio Britanniae, dove egli affermava che i precetti del cristianesimo furono portati in Britannia negli ultimi giorni dell'imperatore Tiberio Cesare che morì nel 37 d.C. Ancora prima di Gildas, eminenti uomini di chiesa come Eusebio, vescovo di Cesarea (260-340) e sant'Ilario di Poitiers (300-367) scrissero di antiche visite apostoliche in Britannia. Gli anni 35-37 d.C. sono quindi fra le prime date indicate come inizio dell'evangelismo cristiano. Corrispondono a un periodo di poco successivo alla Crocifissione e precedente al tempo in cui Pietro e Paolo erano a Roma e ai Vangeli del Nuovo Testamento.
Un personaggio importante nella Gallia del secolo era san Filippo. Gildas e William di Malmesbury lo descrissero come l'ispiratore della missione di Giuseppe in Inghilterra. Il De Sancto Joseph ab Anmathea afferma: «Quindici anni dopo l'Assunzione [vale a dire nel 63 d.C.], lui [Giuseppe] venne da Filippo apostolo fra i Galli». Nel IX secolo, Freculfo, vescovo di Lisieux, scrisse che san Filippo inviò poi la missione dalla Gallia in Inghilterra «per recare colà la buona novella del verbo di vita e predicare l'incarnazione di Gesù».
Al loro arrivo nell'Inghilterra sud-occidentale, Giuseppe e i suoi dodici missionari furono guardati con un certo scetticismo dagli abitanti del luogo, ma vennero accolti abbastanza cordialmente dal re Arvirago di Siluria, fratello di Caractaco il Pendragone. Dopo essersi consu1tato con altri capi, concesse a Giuseppe dodici hides di terra a Glastonbury, pari a circa seicento ettari (un hide è un pezzo di terreno agricolo considerato sufficiente per mantenere una famiglia per un anno con un aratro, che nel Somerset [la zona di Glastonbury] equivale a 120 acri, circa 48,5 ettari). Qui costruirono la loro chiesetta, unica del genere, sul modello dell'antico Tabernacolo ebraico. E fu forse in questa piccola chiesa che nascosero il Graal. Ancora oggi, tra la popolazione locale di Glastonbury, aleggia la convinzione che in qualche luogo si celi un magico segreto. Secondo la storia, però, i monaci di Glastonbury - come la maggior parte degli ordini religiosi dell’epoca - erano tutt’altro che benestanti, e avrebbero potuto inventare questa leggenda per attirare numerosi pellegrini ingenui a un’abbazia che aveva bisogno di urgenti restauri. Nel corso del XVI secolo il re Enrico VIII separò l’Inghilterra dalla Chiesa di Roma. Di conseguenza, i grandi monasteri cattolici della Britannia subirono gli attacchi della corona. Fu un’epoca di terrore e di persecuzione. L'ultimo Abate di Glastonbury, Richard Whiting, affidò ai suoi monaci una coppa di legno da portare via in un luogo sicuro. La coppa era descritta come "il più prezioso tesoro della nostra abbazia".
I monaci di Glastonbury fuggirono con il calice alla volta del feudo di Nanteos Manor, nel Galles. Qui, fu loro offerto un rifugio. Il priore divenne il cappellano della famiglia, mentre i monaci lavoravano nella tenuta. Secondo una leggenda, quando morì l’ultimo monaco, il Graal fu affidato al signore del feudo e lì rimase per 400 anni.
Adrian Wagner, pronipote del più celebre Richard, riporta un ulteriore tappa della reliquia, nell'Abbazia Cistercense di Strata Florida: "La coppa è la stessa usata durante l’ultima cena, fatta di legno d’ulivo. Giuseppe d’Arimatea portò la coppa a Glastonbury dove rimase fino al XVI secolo quando i sette Monaci di Glastonbury fuggirono, portandola con sé e lasciandola al sicuro nelle mani dei Monaci Cistercensi di Strata Florida."
Il Graal - si diceva - era una coppa di scuro legno d’ulivo dal diametro di una quindicina di centimetri, e per tutto quel tempo, pare facesse bella mostra di sé nell’abitazione della famiglia. Molti ritengono che alla morte dell’ultimo signore del feudo, nel 1952, la coppa fu affidata ad altri e sia ora conservata nel caveau di una banca.
La Nanteos Cup si era nei secoli guadagnata la reputazione di possedere poteri rigenerativi, e molte cure miracolose furono dispensate, facendo bere i malati dalla Coppa. Ma ciò che rimane della Coppa di Nanteos è davvero un frammento dell’originale coppa utilizzata da Cristo per il Sacramento dell’Ultima Cena? Davvero possiede poteri curativi?
Gli attuali proprietari della Coppa raccontano un evento miracoloso accaduto alla loro figlia Jean. Ella si trovava a letto in ospedale con un grave trauma cranico provocato dalla caduta di un mattone sulla sua testa. Il padre prese la Coppa e pregò che la figlia guarisse. Dopo alcuni minuti ricevette una telefonata dall’ospedale, nella quale i medici annunciarono che l’emorragia si era arrestata e la bambina sarebbe sopravvissuta. E non soltanto Jean sopravvisse, ma si riprese completamente, ed ora vive una vita normale.
13/04/2005 21:48
 
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FRANCIA

Castello di Gisors
Un Cavaliere Templare, Jean de Chalon, interrogato dall'Inquisizione rivelò che, poco prima che la furia papale e del re di Francia si scatenasse sull'ordine, un convoglio composto da tre carri partì verso la Manica. In mare li aspettava una flotta di diciotto navi. Ma il convoglio non raggiunse mai la costa: probabilmente si era fermato a Gisors. Un celebre occultista francese, Gerard de Sede, in base a certe informazioni avute da un suo giardiniere, era convinto che sotto il castello di Gisors esistessero dei sotterranei misteriosi. Così De Sede insistette perché fossero svolte delle ricerche. Si scontrò con un muro di diffidenza e di omertà, finché nel 1970 vennero eseguiti alcuni scavi. Vennero alla luce undicimila monete del XII secolo. Più tardi, nel 1976, fu rintracciata una cripta rettangolare di 125 metri quadrati che non figurava in nessuna planimetria del castello. Dopo quella scoperta gli scavi furono interrotti per ordine del governo, e della cosa non si parlò più. Il giardiniere che raccontò del castello a Gerard de Sede aveva scavato una galleria sotto la torre denominata "del prigioniero": dopo uno scavo di 21 metri aveva trovato una grande cappella che, secondo lui, conteneva 13 statue (forse Cristo e gli apostoli), diciannove sarcofagi in pietra e trenta cofani di metallo in tre file da dieci. La galleria fu fatta interrare, e nessuno gli credette. Soltanto dopo molte fatiche ed ostacoli egli riuscì a trovare le prove dell'esistenza storica della cappella: in un manoscritto del '600 rinvenne la descrizione della "cappella di Santa Caterina", con tredici sarcofagi e diciannove sarcofagi. Forse i Cavalieri Templari (che secondo Wolfram von Eschenbach sarebbero stati custodi del Graal) avrebbero nascosto il loro tesoro nei sotterranei del castello di Gisors, e il ricercatissimo "tesoro dei Templari" comprenderebbe anche il Santo Graal, che i Cavalieri avrebbero ritrovato in Terrasanta. Secondo alcuni si tratterebbe del Baphomet, idolo della Setta degli Assassini, affidato, dopo la scomparsa della setta, ai Templari.

Fortezza catara di Montségur
I Catari erano membri di una setta che aveva ereditato le sue dottrine dal culto di Zoroastro e dai Manichei. Nati in Medio Oriente, si trasferirono in Europa attraversando Turchia e Balcani, insediandosi in Francia nel XII secolo. Furono sterminati nel 1244 dai francesi. Essi avrebbero potuto portare con sè il Graal durante le loro peregrinazioni. In questo caso esso si troverebbe nascosto nei sotterranei della loro fortezza. Secondo Wolfram von Eschenbach, il Graal si troverebbe nel castello di Munsalvaesche, che significa "Monte Salvato" o "Monte Sicuro" (Montségur). Si sa per certo che negli anni '30 il tedesco Otto Rahn, colonnello delle SS, e il filosofo Alfred Rosemberg, amico di Hitler, intrapresero ricerche a Montségur e in altre fortezze catare, alla ricerca del Calice. Otto Rahn scomparve misteriosamente. Secondo alcuni fu rinchiuso in un campo di concentramento perché "sapeva troppo".

Abbazia di Fécamp
Secondo una storia franco-normanna, Giuseppe d'Arimatea avrebbe raccolto il sangue coagulato di Gesù nel suo guanto di ferro. Giunto a casa, depose il sangue in uno scrigno prezioso (forse si riferisce al Graal). Affidò la reliquia a suo nipote Isacco, il quale lasciò Gerusalemme per Sidone. Qui, fu avvertito in sogno di un pericolo imminente, e decise di proteggere il sangue del Salvatore. Si trovò davanti ad una pianta di fico che aveva le dimensioni adatte. Scavò una nicchia, e vi nascose il Preziosissimo Sangue. Perché l'umidità non lo rovinasse, preparò un tubo di piombo che lo proteggesse. Appena ebbe completato l'opera di occultamento, improvvisamente la corteccia dell'albero si riaccostò, e sanò il taglio che lui aveva praticato. L'albero, però, si trovava vicino al mare. Rischiava, dunque, di essere travolto dalle onde. Alla fine concluse che forse era proprio quella la volontà di Dio, e si decise a tagliare l'albero all'altezza delle radici. Lo spinse in mare, e questo scomparve presto dalla sua vista. Il fico giunse in Gallia, l'attuale Francia. Fu dunque inviato un messaggero a Isacco per avvisarlo che il tronco era intatto. Il territorio della Normandia ove l'albero si era arenato venne chiamato Fici Campus, attualmente Fécamp. Venne ritrovato dopo alcuni secoli, e il Preziosissimo Sangue fu sigillato in un'ampolla di cristallo e conservato nel sacrario dell'abbazia della Santa Trinità di Fécamp. Secondo Jessie Weston, l'ampolla sarebbe il vero Graal, che influenzò tutta la letteratura graaliana.

Provenza
Secondo Alfred Weisen il termine Graal deriverebbe dalla contrazione di Gross Aal, ovvero "Grande tempio" in una lingua dimenticata. Il tempio cui si riferisce sarebbe costituito da una zona delle Gorges du Verdon, in Provenza, delimitata dal disegno di uno zodiaco di 15 chilometri di diametro tracciato sul terreno da fiumi e sentieri, e visibile solo da alta quota.

13/04/2005 21:48
 
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SCOZIA

Roslin Chapel
Il celebre ricercatore del Graal Trevor Ravenscroft annunciò nel 1962 di aver concluso una ricerca che durava ormai da 20 anni. Disse d'aver trovato il Graal nel cosiddetto Pilastro dell'Apprendista, all'interno della Cappella. La cappella è a tutt'oggi visitata da moltissimi ricercatori del Graal, e non è difficile ritrovarvi moltissimi riferimenti al Graal nelle sue incisioni e sulle vetrate. Metal-detectors sono stati utilizzati sul pilastro, ed è stato localizzato un oggetto nel centro del pilastro. Lord Roslin, il proprietario, ha assolutamente vietato di utilizzare i raggi X sulla colonna. Questa ipotesi è trattata in "The Sword and The Grail" di Andrew Sinclair, su cui si legge tra l'altro: "Sulla pietra tombale di Sir William de St. Clair a Rosslyn, compare un calice in cui è inscritto una rosa-croce ottagonale con un fiore nel centro che sta ad indicare il Sangue di Cristo. Si tratta di una delle più antiche rappresentazioni del Sangue di Cristo, che deriverebbe dalla scoperta di rivelazioni Gnostiche contenute in segreti Vangeli ritrovati dai Templari e in seguito trasmessi alla Confraternita della Rosa+Croce, che considerava il cuore di Gesù come il tempio ove la vita del mondo veniva generata, come la rosa e la coppa. Ciò suggerisce anche una connessione tra i Templari e i Catari, prima della Crociata contro gli Albigesi. I Catari erano anch'essi Gnostici, e furono molto influenzati dal trovatore Courst che scrisse in lingua d'Oc, in particolare nell'epico e cavalleresco "Roman de la Rose", e nel successivo romanzo sul Graal. In questi scritti i Templari, avvolti nelle loro tuniche rosso-crociate, sono i custodi del segreto della "rosa dentro il calice". Il Graal sulla pietra tombale di St. Clair spiega anche il motivo per cui attualmente esso venga custodito nel pilastro dell'apprendista nella Rosslyn Chapel, un pilastro costruito proprio per custodirlo. Se le reliquie Templari raggiunsero Rosslyn, potrebbero esser state affidate ai St. Clairs per sicurezza. Gli odierni templari di Scozia possiedono una coppa ingioiellata risalente al Medio Evo, che potrebbe essere appartenuta al tesoro dei Templari. E come sono esistiti i guardiani della Santa Croce, così i St. Clairs potrebbero essersi sentiti investiti del compito di custodire il Santo Graal nella loro cappella."
13/04/2005 21:51
 
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SPAGNA

Valencia
In Spagna, nella cattedrale di Valencia, è conservato un calice per secoli venerato come quello che Gesù avrebbe utilizzato nel corso dell'Ultima Cena per la transustanziazione del vino. Accuratamente studiato, si è rivelato composto di tre parti: una base, costituita da una tazza capovolta; uno stelo, decorato con pietre preziose e perle; una coppa, in cornalina (varietà di calcedonio, di colore rosso). Anche la base è dello stesso materiale. La base reca su un lato un'iscrizione araba, che è stata variamente interpretata: 'larga piana', 'rosso incarnato', 'per colui che splende', 'per colui che dà luce', significati dei quali i primi due costituiscono una descrizione pertinente dell'oggetto; gli altri si riferirebbero invece alla sua destinazione. Altri significati proposti dagli studiosi sono 'gloria a Maria', 'gloria al Figlio di Maria', 'il Misericordioso', appello quest'ultimo tipico di Allah. C'è anche chi propone di leggere ALZAHIRA, il nome di una cittadina residenziale fatta costruire dagli Omaiadi di Cordova (dominanti su gran parte della Penisola Iberica tra la fine del I e l'inizio del II millennio d.C.) e andata distrutta con il crollo della dinastia. In questo caso la base del calice potrebbe provenire dall'assedio di Alzahira in cui vennero sconfitti gli Omaiadi. Lo stelo è il frutto di un raffinato lavoro di oreficeria databile tra il XII e il XIV secolo. La coppa è sicuramente la parte più antica del calice e quindi quella che riveste maggiore interesse.
Secondo la Confraternita del Santo Calice di Valencia, il Vaso utilizzato da Gesù durante l'ultima cena, "non può esser stato perso di vista dopo la morte del Redentore, poiché molte volte i discepoli si riunirono nel Cenacolo. Il Santo Calice potrebbe esser stato portato a Roma da San Pietro, capo della Chiesa. Trascorsero, poi, due secoli e mezzo, durante i quali il fervore dei cristiani non aveva bisogno di una reliquia così singolare; in seguito, esistono chiari indizi per affermare che i vari papi celebrarono nei primi secoli la Messa nello stesso calice usato da Cristo durante l'Ultima Cena. In seguito l'imperatore Valeriano scatenò una sanguinosa persecuzione contro il cristianesmo, durante la quale morì martire Papa Sisto II. Il Pontífice, prima di morire, prese la reliquia e la affidò al diacono Lorenzo, originario di Huesca. Fu martirizzato anche questi, ma non prima di esser riuscito ad inviare alla sua città natale il Calice dell'Eucarestia, accompagnato da una lettera. Era l'anno 258 o, secondo altri, il 261." Le cronache raccontano effettivamente che Lorenzo si rifiutò di consegnare ai persecutori i tesori della Chiesa romana. "Si ritiene che Lorenzo, al fine di salvare il patrimonio della Chiesa e in particolare il preclaro calice, l'abbia inviato in Spagna e proprio nella sua città, Osca, dove ancora vivevano i suoi genitori Oronzio e Pazienza, anch'essi successivamente martirizzati." (P.Baima Bollone, L'impronta di dio, Milano, 1985) Prosegue la Confraternita: "Insigni storici dell'Aragona registrarono la permanenza della preziosissima coppa a Huesca durante i secoli seguenti, finché, nell'anno 713 la Spagna fu invasa dai Musulmani, e il vescovo di Huesca, chiamato Audeberto, decise di lasciare la città per rifugiarsi, con i beni che era riscito a salvare (tra cui il Santo Calice), sulla cima del monte Pano, su cui viveva l'eremita Juan de Atarés; qui fu fondato il monastero di San Juan de la Peña; e da qui nacque un gruppo di uomini che intrapresero la dura lotta per la riconquista contro i Musulmani. E' possibile che questi eventi epici costituiscano l'origine o la fonte dei celebri poemi di Chretièn de Troyes e Wolfram von Eschenbach, che ebbero per protaginista Perceval o Parzival, che in seguito fu ripreso da Richard Wagner nel suo Parsifal. In tutti questi poemi c'è un Vaso meraviglioso, chiamato Graal o Grial, la cui relazione con il Santo Calice è facilmente comprensibile. Dal punto di vista esclusivamente storico, si deve citare un documento del 14 dicembre 1134, in cui si elencano gli oggetti custoditi nel cenobio di San Juan de la Peña, e viene nominato "el Cáliz en que Cristo consagró su sangre", il calice in cui Cristo consacrò il suo sangue. La notizia della presenza in Spagna della portentosa reliquia, il cui prestigio aveva attraversato i secoli, giunse alle orecchie del re d'Aragona don Martín el Humano, il quale, trovandosi a Zaragoza, mandò a San Juan de la Peña degli emissari influenti per ottenere il Vaso del'Ultima Cena. Il documento della donazione, conservato a Barcellona, fu vergato il 26 settembre 1399. Su esso si constata il fatto che il Santo Calice fu mandato da Roma con una lettera da San Lorenzo. La reliquia fu inizialmente custodita nel palazzo reale di Zaragoza, chiamato della Aljafería. Da qui, passò durante il regno di don Alfonso el Magnánimo, al Palacio del Real, situato presso il fiume Turia, nella città di Valencia, dove si trova a tutt'oggi. Essendo morto Antonio Sanz, cappellano maggiore della cappella regia, il re di Navarra, don Juan, decretò nel 1424, che la reliquia fosse spostata - per maggior sicurezza - nella sacrestia della Cattedrale. Per questo si stilò un documento datato 18 marzo 1437, autografato da dignitari e funzionari, su cui si descriveva "el Cáliz en que Jesucristo consagró la sangre el jueves de la Cena" (il Calice in cui Gesù Cristo consacrò il sangue durante l'ultima Cena). In seguito a questo ultimo trasferimento aumentò molto la devozione al prodigioso Vaso.
Attualmente la cappella attigua alla Aula Capitolare dove viene conservato il Calice è chiamata Capilla del Santo Cáliz: si tratta di una stanza dalla nobile architettura gotica."
13/04/2005 21:52
 
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ITALIA

Chiesa Gran Madre di Dio, a Torino
La Chiesa Gran Madre di Dio venne deliberata nel 1814, in occasione del ritorno dei Savoia a Torino, dopo l'occupazione napoleonica, e costruita nel 1831 da Ferdinando Bonsignore in forme neoclassiche, su modello del Pantheon di Roma. La cripta è adibita a Ossario dei Caduti della guerra 1915-18, e accoglie i resti di molte delle cinquemila vittime torinesi della prima guerra mondiale. La chiesa è preceduta da una scenografica scalinata, con ai lati le statue della Religione a destra e della Fede a sinistra, dovute a Carlo Chelli.
Queste statue raffigurano donne prosperose e sono piuttosto strane nei loro dettagli. La donna di destra, dallo sguardo fiero, ha in fronte il triangolo con l'occhio divino, e ai piedi la tiara papale; un angelo inginocchiato le porge le Tavole della Legge. toccandole con i lembi della veste. La mano destra, oggi mancante, sorreggeva in origine una croce.
L'altra donna (la Fede), anch'essa assistita da un angelo, tiene nella mano destra un libro aperto, e nella sinistra un calice levato verso il cielo. Secondo alcune interpretazioni, questo calice rappresenterebbe il Graal, mentre la direzione in cui guarda la statua e altri particolari fornirebbero segrete indicazioni per scoprirne il mistero. Lo stesso nome della chiesa è piuttosto curioso; certamente insolito fra titoli mariani; esiste in Italia un solo santuario con il medesimo titolo, a Fidenza (PR). Sembrerebbe davvero ricordare la vicinanza sapienziale fra gli antichissimi culti pagani della Grande Madre e la venerazione cristiana della Madonna. Un'altra scultura di personaggio femminile che reca un calice simile a quello della Gran Madre si trova nella facciata della chiesa dei Ss. Martiri (sulla centrale via Garibaldi), dedicata ai patroni della città.
Secondo una letteratura forse fin troppo abbondante, l'intera città di Torino avrebbe una spiccata natura "magica". Per sostenere questa tesi, vengono portati alcuni argomenti: particolari riti di fondazione all'origine del centro abitato, l'esistenza di luoghi carismatici e monumenti simbolici, insoliti episodi di storia cittadina e l'attuale abbondanza di associazioni esoteriche e personaggi bizzarri (più o meno raccomandabili). Tutto questo sarebbe dovuto alla presenza di potenti correnti telluriche modulate dall'unione di un fiume maschile (il Po) con uno femminile (la Dora). Si apprende inoltre che Torino avrebbe una doppia "polarità": quella positiva, con centro in piazza Castello, sarebbe in sintonia con le altre città magiche di Lione e Praga; quella negativa, con centro in piazza Statuto, si troverebbe in accordo con Londra e San Francisco.
Questa leggenda è nata nel 1978 in seguito alla pubblicazione di un libro intitolato "Torino Città Magica", scritto da Giuditta Dembech.

Chiesa di San Nicola a Bari
Nel 1087, un gruppo di mercanti portò a Bari dalla Turchia le spoglie di San Nicola, e in loro onore venne edificata una basilica. In realtà la translazione del Santo era solo la copertura di un ritrovamento ben più importante, quello del Graal. L'impresa fu condotta da 62 marinai reclutati tra quelli tradizionalmente attivi nei porti intorno a Bari (esiste anche una piazzetta nel centro storico, a loro dedicata "Piazzetta 62 marinai") e presumibilmente fu una vera e propria spedizione composta da più barche, finanziata dal clero o dal Papa Gregorio VII direttamente. Il Pontefice era al corrente del potere del Calice, ma non intendeva pubblicizzare la sua ricerca, né l'eventuale ritrovamento, in quanto esso era un oggetto pagano. I marinai sbarcarono presumibilmente a Mola di Bari, a sud del capoluogo ed arrivarono in citta' accompagnati dalla popolazione festante, su un carro. Al papa premeva di recuperarlo da Sarraz in quanto temeva che la sua presenza sul suolo turco avrebbe aiutato i Saraceni (in questo caso i Turchi Selgiuchidi) nella loro espansione ai danni dell'Impero Bizantino, e avrebbe nociuto al programmato intervento di forze cristiane in Terra Santa a difesa dei pellegrini. Non è dato di sapere dove si trovava la coppa (che, forse, era passata per le mani di San Nicola nel VI secolo, e che gli avrebbe conferito la fama di dispensatore d'abbondanza) e chi comandò la spedizione; sta di fatto che, in una chiesa sconsacrata di Myra, i cavalieri prelevarono anche alcune ossa, poi ufficialmente identificate come quelle del Santo. Il recupero delle spoglie giustificò la spedizione in Turchia e l'edificazione di una basilica a Bari; la scelta di custodire il Graal in quella città anziché a Roma fu determinata da due motivi: da lì si sarebbero imbarcati i cavalieri per la Terra Santa (la prima crociata fu bandita sei anni dopo il ritrovamento) e il Graal avrebbe riversato su di loro i suoi benefici effetti. A ricordo dell'avvenimento, sul portale della cattedrale (edificata parecchi anni prima della divulgazione della "Materia di Bretagna") si trova l'immagine di Re Artù e un'indicazione stilizzata del nascondiglio. Una testimonianza della probabile presenza del Graal a Bari e' anche la periodica apparizione di "manna" ristoratrice e taumaturgica che appare nella cripta sotterranea di S. Nicola (venerato anche dai cristiani ortodossi).

Cattedrale di San Lorenzo, a Genova
Nel 1101 a Cesarea fu rinvenuto un piatto di vetro verde di circa 40 centimetri di diametro. I crociati ritenevano che il contenitore fosse ricavato da uno smeraldo e che si trattasse di un dono della regina di Saba a Salomone. Nel XIII secolo l'arcivescovo Jacopo da Varagine scrisse che "si raccontava [...] che in quel piatto Cristo avesse mangiato durante l'Ultima Cena. [...] Che questo sia vero non possiamo saperlo [...], ma non possiamo però passare sotto silenzio il fatto che, in certi libri degli inglesi, si dice che quando Nicodemo tolse il corpo di Cristo dalla croce, egli raccolse il suo sangue in una stoviglia di smeraldo." Fu portato in Italia da Guglielmo Embriaco come trofeo delle Crociate. La Tradizione lo identificava con il Santo Graal, il quale - secondo una leggenda - venne intagliato in un verde smeraldo. Portato dai Francesi a Parigi nel 1806, ritornò a Genova nel 1816 ridotto in pezzi. Fu restaurato nel 1950. Secondo alcuni autori, il Sacro Catino è databile al I secolo. E' custodito nel Museo del tesoro di S.Lorenzo. Sul volumetto "Genova e la sua provincia" della cassa di risparmio di Genova ed Imperia si legge: "Nel 1095 Genova prese parte alla prima crociata. Inviò in Terra Santa le sue armate navali, occupando Antiochia e Cesarea, e fu là che si impossessarono della famosa tazza di smeraldo detta Sacro Catino, che ancora oggi fa parte del tesoro di S.Lorenzo". (Per la segnalazione di questa ultima citazione e per l'immagine ringrazio Roberto Vassallo)
Castel del Monte, ad Andria (BA)
I Cavalieri Teutonici, fondati nel 1190, erano in contatto sia con i mistici Sufi (una setta islamica) sia con l'imperatore Federico II Hohenstaufen, seguace della stessa dottrina. Tramite i Cavalieri Teutonici, i Sufi avrebbero affidato il Graal all'imperatore, affinché lo preservasse dalle distruzioni scatenate dalle Crociate. In tal caso, il Graal si troverebbe a Castel del Monte, un palazzo a forma di coppa ottagonale edificato apposta per custodirlo.

Santa Maria Giacobbe, a Pale di Foligno (PG)
Nella piccola frazione di Foligno si erge un piccolo santuario, dedicato a Santa Maria Giacobbe, fondato su un sito pagano. Risulta menzionato per la prima volta in un documento del 1295. Sulle origini esistono alcune leggende; la Santa titolare - raffigurata con un vaso di aromi - è una delle pie donne che si reca al sepolcro di Gesù per ungerne il corpo. Un tempo il luogo era assai frequentato, e vi dimorava stabilmente un eremita; oggi viene aperto in due sole occasioni, durante la festività del 25 maggio e dell'Ascensione. Particolarmente interessante è rara è la raffigurazione - nei dipinti murali all'interno del Santuario - del Santo Graal. Un affresco trecentesco rappresenta il Cristo a braccia aperte (forse il Volto Santo di Lucca) tunicato, ai cui piedi sono due calici, fra cui il Graal. Un altro affresco, quattrocentesco, è ancora più singolare: nel mistero del Natale, una donna genuflessa di fronte alla Vergine, depone il Bambino nella culla a foggia di Calice, con il cartiglio Ecce Christus.

Siena
Il Duomo di Siena è il massimo monumento cittadino e una delle più splendide creazioni dell'architettura gotica in Italia. Si tratta anche di uno dei monumenti più "magici" della penisola, non solo per la suggestiva bellezza dell'impianto cittadino, non solo per l'eccezionale ricchezza artistica, non solo per la straordinaria profondità dei contenuti simbolici, ma anche per un "qualcosa" di indefinibile, eppure ben percepibile che si può avvertire al suo interno. E' una sottile esaltazione dell'animo, un'illuminazione dello spirito. C'è chi narra esperienze estatiche, c'è chi dice di aver sentito la presenza di Dio. Questa arcana sensazione è così intensa e particolare che indusse Richard Wagner a chiedere ad un suo amico pittore di inviargli dei bozzetti dell'interno del Duomo senese perché servissero da modello per il tempio del Santo Graal nel suo Parsifal.

Abbazia di San Galgano, a Chiusdino (SI)
L'Abbazia di Sal Galgano è un monumento fra i più insigni dello stile gotico-cistercense in Italia; fondata alla fine del sec. XII, divenne un importante centro religioso. Il fascino dell'edificio è davvero notevole, con il cielo aperto per tetto e la terra di un prato per pavimento: fiori e stelle. Poco più in alto sorge la primitiva chiesetta di S. Galgano, di forma circolare, dall'originalissima architettura romanica; al centro di essa si vede un masso con una spada confitta, dall'occulto significato simbolico. Secondo la tradizione, infatti, in questo luogo il nobile cavaliere Galgano (1148-1181), di Chiusdino, confisse la sua spada nella roccia per adorarne l'elsa in forma di croce; in quel momento fu convertito alla santità da una sfolgorante apparizione dell'arcangelo Michele. Galgano visse da eremita gli ultimi anni della sua vita, erigendo attorno al masso una cappella, poi destinata a divenire l'attuale chiesetta. I Cistercensi di Casamari ottennero di costruire in onore di Galgano, canonizzato nel 1185, un oratorio e un edificio, nucleo dell'Abbazia, che rapidamente crebbe in splendore e potenza. La spada attuale sostituisce la precedente, spezzata nel tentativo di estrarla; il masso è stato protetto da uno spesso cristallo. Un prezioso reliquiario della testa di san Galgano, proveniente dall'Abbazia, si trova oggi nella Sala del Tesoro del Museo dell'Opera Metropolitana di Siena. Questa tradizione della spada di san Galgano richiama quella notissima della "spada nella roccia" del leggendario re Artù. Narra il mito che alla morte di Uther, sovrano inglese senza eredi, si trovò nella città di Londra una prodigiosa spada profondamente infissa nella roccia: chiunque fosse riuscito ad estrarla sarebbe diventato di diritto re d'Inghilterra. Ma per far questo era necessaria purezza di cuore e non forza fisica: la magica spada cedette solo alla nobiltà d'animo e alla saggezza di Artù, che divenne poi il fondatore di un'eletta cerchia di cavalieri (la Tavola Rotonda). È interessante notare che a opera di alcuni narratori le gesta esoteriche di Artù e dei suoi cavalieri - compresa la "cerca" del Graal - divennero assai note in Europa durante il secolo XII, proprio all'epoca della leggenda di san Galgano. Infine, il nome stesso di Galgano è assai simile a quello di uno dei cavalieri arturiani, Galvano.

Chiesa di Sant'Andrea Apostolo, a Mantova
La Chiesa di Sant'Andrea di Mantova è uno dei massimi edifici religiosi del Rinascimento, capolavoro dì Leon Battista Alberti (1470), venne iniziata da Luca Fancelli nel 1472, e terminata in due riprese nel Seicento Al centro della chiesa, sotto la cupola, un genuflessorio ottagonale copre la pane di cripta dove è custodita, in due vasi d'oro collocati in un altare neoclassico, la reliquia in onore della quale fu eretta la basilica: alcune gocce rapprese del sangue di Gesù Cristo. Tradizionalmente, la sacra reliquia venne portata a Mantova da san Longino, il soldato romano che secondo i Vangeli (Giovanni 19,34) trapassò con una lancia il costato di Gesù sulla croce: si narra infatti che sconvolto dal proprio gesto e convertito alla fede, Longino abbia raccolto il sangue del Redentore; quindi si mise in viaggio predicando, e poco prima del martirio, avvenuto a Mantova, la interrò.
Dopo l'interramento della reliquia, di essa non si parlò più per secoli, fino cioè all'anno 804, quando Sant'Andrea, apparso ad un suo fedele, indicò con precisione nell'orto dell'ospedale di Santa Maddalena, il luogo ove si trovava interrata la cassetta portata da Longino con il prezioso cimelio. Vicino alla reliquia vennero trovate anche le ossa del Martire ossa conservate tuttora nella Basilica di Sant'Andrea, in un'urna sita nella terza cappella a destra entrando. A conferma della sacra presenza del Martire, una iscrizione reca in latino Ossa di Longino, colui che colpi il Costato di Gesù.
La sensazionale scoperta venne rapidamente conosciuta ovunque, tanto che Carlo Magno, impressionato del fatto, invitò subito Papa Leone III a recarsi a Mantova per raccogliere maggiori notizie sul fatto miracoloso. I1 pontefice eseguì l'incarico, fece gli opportuni accertamenti in loco e poi rilasciò una dichiarazione attestante l'autenticità della reliquia, ricevendo anche in dono una piccola porzione di essa da consegnare a Carlo Magno.
Grato per tale insperato regalo, l'Imperatore lo fece deporre nella "Cappella Reale" di Parigi. Di questo ritrovamento é testimonianza anche una lapide, posta all'ingresso della Basilica di Sant'Andrea, dalla parte della Piazza Leon Battista Alberti, che così dichiara
Sacri Cuoris
hic inventione facta
sub Leone PP III
et Carulo Magno
Nell'anno 923 l'invasione degli Ungari, che già aveva recato gravissimi danni dov'erano passati, metteva in pericolo la Reliquia mantovana ed in quella occasione si provvide a metterla nuovamente al sicuro temendo profanazioni. Ed infatti si provvide a dividere il terriccio misto a sangue, raccolto da Longino in due porzioni: la prima venne nascosta nella chiesa di San Paolo (che era contigua alla cattedrale mantovana) e la seconda, suddivisa a sua volta in due vasi di cristallo, nell'orto dell'oratorio dedicato al Sangue di Cristo.
Una seconda volta dal momento che 1'occultamento della reliquia, per evidenti ragioni, era stato segreto, venne dimenticato il luogo ove era stato nascosto il più prezioso ricordo della Passione e Morte di Nostro Signore. Si dovette attendere l'anno 1048 quando ancora una volta l'Apostolo Andrea, apparendo per tre volte ad un mendicante cieco tedesco, indicò il luogo ove le sacre reliquie erano nascoste, permettendo così il secondo ritrovamento. La data di questa seconda inventio, nella quale la Chiesa ricorda tale fausto evento, è quella del 12 marzo di ogni anno. Isabella d'Este decretò la festività di tal giorno, anche agli effetti dell'esenzione dal lavoro. Per le sacre reliquie ritrovate vennero costruiti una chiesa ed un monastero benedettino. Da quel momento incominciò l'afflusso in città di molti pellegrini accorsi per venerare la scoperta ed insieme ai pellegrini incominciarono a giungere Pontefici ed Imperatori. Nel 1053 papa Leone IX, nel 1055 l'imperatore Enrico III, il quale ricevette una minuscola porzione della reliquia, che poi - dopo diversi passaggi - giunse alla cittadina di Weingarten ove oggi è conservata e venerata.
Il sangue di Cristo, come simbolo, rimanda evidentemente al Graal, che ne fu bagnato; il sangue raccolto da Longino richiama anche il concetto mistico - misterioso e potente - del Sacro Cuore, perché la lancia fatale trafisse il costato di Gesù. Il culto ha dato origine, nel 1608, all'ordine militare del Sacro Sangue di Cristo. Un'altra importante analoga reliquia si conserva a Sarzana (SP), nella cattedrale di S.Maria Assunta. Secondo la tradizione, il venerdì santo dell'anno 782 un misterioso navicello comparve nel porto dell'antica Luni (oggi presso Ortonovo, SP): conteneva un crocifisso, in una cavità del quale vi era un'ampolla del sangue di Cristo. Il crocifisso, noto come Volto Santo, citato da Dante Alighieri (Inferno XXI, 48), fu portato a Lucca, nel Duomo di S.Martino, dove ancora oggi si trova; l'ampolla, dapprima custodita nella stessa Luni, venne poi trasferita con la sede episcopale a Sarzana (1204).

Aosta
Ogni anno nella città di Aosta si tiene la "Foire de Saint Ours", fiera patronale dedicata a Sant'Orso che risale ad oltre mille anni fa. In quell'occasione, artigiani in grande numero espongono gli utensili e oggetti più disparati, molti dei quali di rara produzione e notevole livello artistico e tecnico. Non manca la "grolla", la famosa coppa da vino lavorata in legno, usata per fraterne bevute collettive, e che la tradizione vuole derivata dal Graal, il sacro calice dei mitici cavalieri di Re Artù.

Cannobio (VB)
Ascona e la vicina Locarno sono legate alla nascita di un sorprendente movimento ideale spontaneo - naturista e pacifista - che si alimentò grazie all'influenza di numerosi personaggi assai diversi fra loro ma animati da grandi sogni di rinnovamento dell'umanità. Tutto iniziò con l'esule russo Bakunin, teorizzatore di un’utopia sociale di ispirazione anarchica, che vi soggiornò tra il 1869 e il 1874. Dai 1885- e fino al 1928 - la baronessa russa Antonietta di Saint-Léger trasformò le isole di Brissago in un meraviglioso paradiso botanico. Nel 1889 il teosofo locarnese Alfredo Pioda fondò sul colle Monescia alle spalle di Ascona una comunità utopistica che in seguito altri (Ida Hofmann, Henri Oedenkoven, i fratelli Karl e Gusto Graser) trasformarono nella cooperativa dl "Monte Verità", che diede il nome all'altura stessa. Nel 1905, l’anarchico tedesco Erich Muhsam propose che questo luogo divenisse una sorta di repubblica per tutti i perseguitati del mondo. Ma saranno soprattutto scrittori, artisti e filosofi d'ogni sorta a frequentare Monte Verità. Uno degli ospiti più illustri di Monte Verità fu Cari Gustav Jung, ideatore della psicologia analitica. Ne rimane traccia nell’importante e attiva fondazione junghiana Centro Eranos - che è tuttora esistente - creata nel 1928 nella vicina frazione Moscla da Olga Frobe-Kapteyn, spirito poliedrico di intellettuale. La donna era anche un'artista, e innalzò un'interessante pietra scolpita con l’immagine del Graal e dedicata all'ignoto genius loci (il principio spirituale del luogo).
13/04/2005 21:52
 
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Oak Island, New Scotland (USA)
William Crooker, in una pubblicazione, sostiene che i Templari si sarebbero messi in salvo dallo sterminio perpetrato ai loro danni da Filippo il Bello, e il loro mitico tesoro sarebbe stato portato, da Henry Sinclair, in Nova Scotia nel 1398. Nascosto nel money pit, un profondissimo pozzo ancora inviolato, è oggetto della ricerca di moltissimi storici ed archeologici.

Takht-I-Sulaiman (IRAN)
La fortezza di Takht-I-Sulaiman, centro principale del culto di Zoroastro, è straordinariamente simile al castello del Graal descritto da Wolfram von Eschenbach. Alcuni identificano Takht-I-Sulaiman con la mitica "Sarraz" in cui il Santo Graal sarebbe da secoli custodito.

Narta Monga (RUSSIA)
Sulle montagne del Caucaso in Russia, si trova un piccolo gruppo di persone che dicono di possedere una magica coppa chiamata Amonga. Questo calice ha caratteristiche comuni al Graal: può produrre cibo, dare poteri di conoscenza e sa chiamare a sé colui che è degno di berne.
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