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Il Santo Graal

Ultimo Aggiornamento: 14/04/2005 18:27
01/04/2005 19:53
 
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1 - Origine storica

Intorno alla metà del XII secolo i regnanti angioino-plantageneti, la cui sovranità si estendeva sull'Inghilterra ma che derivava dalla Bretagna, dalla Normandia e dall'Anjou, erano impegnati nel crearsi un grande regno, che oltre all'Inghilterra, comprendeva gran parte dell'attuale Francia. Il matrimonio dinastico tra Enrico II ed Eleonora d'Aquitania, nel 1152, sigillava un vasto programma egemonico: ora i domini di Luigi VII di Francia - che fu il primo marito di Eleonora, e del quale il re inglese era a vario titolo vassallo per i territori francesi - erano molto meno estesi rispetto a quelli del rivale d'oltremanica, per quanto Luigi ne fosse signore feudale per vaste aree.
Era quindi necessario per la dinastia anglo-francese creare un precedente tanto dei celti insulari e degli anglosassoni quanto dei normanni, capace di nobilitare e avvicinare entrambe le stirpi delle due sponde della manica. E che potesse competere, per antichità e sacralità, tanto con la monarchia francese - che aveva il suo centro sacro in Reims, dove si conservava la Sacra Ampolla dell'olio con cui si ungevano i re, e nell'abbazia di Saint-Denis, che custodiva il vessillo direttamente concesso da Dio a Carlomagno, l'Orifiamma - quanto con lo stesso impero Romano-Germanico che traeva la sua sacralità dalla Cappella Palatina d'Aquisgrana, dove riposavano le reliquie di Carlomagno.
Questa pratica era già ben nota fin dall'antichità, ne è esempio L'Eneide, che creò un'origine troiana per gli imperatoti romani.
Gli emuli delle tradizioni francesi e germaniche furono presto individuati negli antichi sovrani celtici cristianizzati.
Già nell'VIII-IX secolo l'Historia Britorum di Nennio nominava un "Arturus Rex": oggi si ritiene che la figura di Artù sia un funzionario romano della Britannia, Lucius Artorius.
Nella seconda metà del secolo X gli Annales Cambriae parlavano di una vittoria riportata dai britanni contro i sassoni nel 516 o 518, durante la quale il re Arturus avrebbe portato per tre giorni consecutivi la croce del Cristo. Le tradizioni arturiane sarebbero state raccolte intorno al 1135 dalla Historia regum Britanniae di Goffredo di Monmouth, al quale s'ispirò Guglielmo di Malmesbury per la seconda edizione di un suo scritto, il De antiquitate Glastoniensis Ecclesiae, redatto tra il 1135 e il 1137 e nel quale la leggenda appare per la prima volta nella sua interezza.
Per Artù si creò anche un centro sacrale che poteva rivaleggiare con Aquisgrana e con Saint-Denis: l'abbazia di Glastonbury nel somerset, dove nel 1191 - durante la terza crociata - furono scoperte le tombe del re Artù (con la famosa iscrizione "rex quondam rexque futurus", re una volta e re per il futuro) e di Ginevra e che fu identificata con la leggendaria Avalon.
Tra il 1181 e il 1190 Chrétien de Troyes (probabilmente il maggiore poeta medievale prima di Dante) compose il Perceval, ou le Conte du Graal: in esso è dichiarato che la trama deriva da un libro ricevuto dal dedicatario stesso dell'opera, Filippo d'Alsazia conte di Fiandra, che nel settembre 1190 partì per la terza crociata (e non ne sarebbe tornato).
Il XII secolo non apprezzava le novità: tanto più in un campo come quello delineato dal Perceval, dove si proponeva la vicenda d'una sorta di iniziazione religioso-cavalleresca incentrata sul mistero del Graal.
Ma il termine Graal, che per noi è un nome proprio, ai tempi di Chrétien non lo era affatto; né lo era neo suoi versi, dove si propone non la storia del Graal quanto quella di un Graal, sia pur particolare.
La parola graaus (al nominativo; nei complementi, graal) è attestata in lingua d'oil almeno a partire dal Roman d'Alexandre del 1160-70: il Du Cange riferisce che la parola latina gradalis, corrispondente a graaus, è contenuta nel testamento del conte Ermengaud d'Urgel (1110) che dona all'abbazia di Sainte Foy di Conques "gradales duas de argento".
Nell'area di Troyes la parola graal esisteva da molto tempo come nome comune per indicare un piatto o una scodella. Ma anche altre regioni della Francia conoscevano varianti di questo termine col medesimo significato: nel sud-ovest si usava gardale, nella Svizzera romanda, gral, nel Jura, giro,gro,gra,gre; la variante provenzale-occitana grazal o grasal s'incontra in Provenza almeno dalla metà del XII secolo e sopravvive fino ad oggi, come ben sa chiunque in montagna abbia bevuto da una grolla.





02/04/2005 14:40
 
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2 - Chretien de Troyes

La prima opera a parlare del Graal è, come abbiamo visto sopra, il Perceval di Chretién.
Ora, Chretién descrive - sommariamente - il suo graal come un piatto largo e abbastanza capiente e profondo da contenere un grosso pesce, mentre un testo primoduecentesco, la prima "Continuazione anonima" del Perceval, ne tratta come di un recipiente tanto grande e profondo da contenere una testa di cinghiale.
Risulta chiaro che questi autori consideravano il graal come un oggetto d'uso corrente, magari addirittura umile e quotidiano. Si ritiene che etimologicamente il termine sia la sintesi tra due termini latini, crater (il panciuto vaso per il vino) e vas garale (un recipiente che si utilizzava per conservare una salsa di pesce chiamata garum: di nuovo qualcosa a che fare col pesce).
La diffusione del termine volgare dovrebbe aver avuto inizio nell'area occitanico-catalana, nell'accezione di un oggetto di uso corrente.
Va sottolineato che anche in gaelico esiste la forma greallach con il significato di "creta", "argilla" o "terra cruda", che fa pensare ad una radice indoeuropea.
La teoria che fa riferimento all'espressione Sang Real, con riferimento al sangue del Cristo, o comunque alla dinastia Merovingia è senz'altro affascinante ma manca di ogni prova a suo favore.
Il Perceval è un "romanzo iniziatico", che racconta come il giovane Perceval il Gallese, "figlio della dama vedova" e abitante nella "Guasta Foresta" - dov'è cresciuto del tutto ignaro dei costumi cavallereschi dato che la madre (che ha perso tutti i suoi cari a causa della cavalleria) ha voluto tenerlo al riparo da tale conoscenza - intraprenda invece la professione delle armi cortesi (l'ideale cortese andava sviluppandosi proprio nella corte di Troyes) giungendo, attraverso svariati insegnamenti che spesso fraintende, alla perfezione spirituale.
Il giovane Perceval incontra un giorno nella foresta, per caso, dei cavalieri: rimane affascinato e spaventato dalla loro bellezza e potenza, rivolge loro molte domande e - sulla base delle risposte - decide di recarsi alla corte di Artù a Cardurel, in Galles, per essere a sua volta investito della dignità di cavaliere.
La madre, nonostante il timore che il figlio vada incontro alla morte come il resto della famiglia, gli impartisce gli insegnamenti fondamentali sulla cavalleria: onorare dame e damigelle, chiedere il nome a chi s'incontrerà con lui, rispettare le chiese.
Seguendo queste indicazioni Perceval, ingenuo e rozzo, giunge alla corte di Artù, uccide il Cavaliere Vermiglio che ha offeso il re e viene istruito da Gornemant de Goort, che gli impone di concedere grazia al nemico vinto che la richieda, di non parlare troppo, di assistere i bisognosi e di pregare.
Dopo una serie di avventure, Perceval giunge alla corte del Re Pescatore, dove assiste ad una singolare processione:

[...]"Mentre parlano di questo e d'altro, un valletto viene da una camera, e tiene una lancia lucente impugnata a metà dell'asta. Passa tra il fuoco e coloro che sono assisi sul letto. E tutti i presenti vedono la lancia chiara e il ferro bianco. Una goccia di sangue stillava dalla punta di ferro della lancia. Fin sulla mano del valletto colava la goccia di sangue vermiglio. Il giovane ospite vede tale meraviglia e si trattiene dal domandarne ragione. E' perchè rammenta le parole del maestro di cavalleria. Non gli insegnò che non si deve parlare troppo? Porre domande sarebbe villania. Non dice parola. Poi arrivano due valletti, tenendo in mano candelabri d'oro fino lavorato a tiello. [...] Una fanciulla molto bella, slanciata e ben adorna veniva coi valletti e aveva tra le mani un graal. Quando fu entrata nella sala col graal che teneva, si diffuse una luce sì grande che le candele persero il chiarore, come stelle quando si leva il sole o la luna. Dietro di lei un'altra damigella recava un piatto d'argento. Il graal che veniva avanti era fatto dell'oro più puro. Vi erano incastonate pietre di molte specie, le più ricche e le più preziose che vi siano in mare e in terra..."

La misteriosa processione si ripete durante il banchetto del Re Pescatore con Perceval. Il Graal, “tutto scoperto”, passa ad ogni portata, e il giovane desidererebbe chieedere cosa significhi la scena, cosa si il Graal e a chi venga servito, ma, ricordando gli insegnamenti ricevuti, tace.
Al mattino seguente, il castello è deserto. Perceval ne esce solo, e da un incontro casuale - una giovane nella foresta, che poi risulterà essere la cugina - scopre che il Re Pescatore è gravemente ferito, e se egli avesse posto la domanda relativa alla funzione e alla natura del Graal sarebbe guarito, e che il suo errore deriva da una colpa, aver fatto morire di dolore la madre dopo che l’aveva abbandonata per recarsi da Artù.
Dopo altre avventure, che si intrecciano con quelle di un altro noto cavaliere, Galvano, Perceval arriva, il Venerdi Santo, a un eremo dove risiede un anacoreta. Questi gli rivela di essere fratello di sua madre e del re al quale è servito il Graal, il cui contenuto è un’ostia: “quest’ostia sostiene e conforta la sua vita, tanto essa è santa, e egli stesso è sì santo che nulla lo fa vivere se non l’ostia del Graal”.
Dopo questa rivelazione, Perceval rimane dallo zio eremita per espiare il suo peccato, la morte della madre. In questo modo l’educazione cavalleresca del giovane si conclude attraverso l’affinamento dello spirito.
I pochi versi relativi all’apparizione del Graal nel castello e i successivi, sull’ostia della quale si ciba il re ferito, hanno segnato come nient’altro la cultura europea: da allora quel graal è diventato il Solo., l’Unico, il Santo Graal.
Così come esiste, redatta e completata nel XIII secolo, una Legenda Crucis, che segue la sorte del legno della croce dal Paradiso terrestre al Calvario, esiste anche una Legenda Gradalis, che segue le vicende del santo recipiente dalla sua confezione in poi.

02/04/2005 16:59
 
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3 - Fortuna di un mito

Il Conte del Graal ebbe un immediato successo. Intorno al 1200 Robert de Boron scrisse in versi il Roman de l’Estoire du Graal, chiamato anche Joseph d’Arimathie. Con Robert si perde parte della caratterizzazione celtica della storia - la feerie del viaggio nel Regno del Graal, e la storia diventa più marcatamente cristiana, ispirata a scritti come il Vangelo di Nicodemo, fondato sulla Passione e sull’Eucarestia.
Visto che Chretién aveva lasciato incompiuto il Perceval, tral il 1200 e il 1230 vi furono quattro “continuazioni” in versi, tutte anonime. Nella vicenda sono sviluppate sia la matrice cristiana che quella celtico-meravigliosa, probabilmente a causa delle sovrapposizioni avvenute nei decenni.
La prima continuazione vede protagonista Gauvein, che nel testo di Chretién ricopriva un ruolo minore. Nella seconda continuazione, da molti attribuita a Wauchier de Denain, il protagonista è Perceval; il Graal è qui totalmente cristianizzato, essendo il calice che raccoglie il sangue di Cristo. Il probabile autore della terza cotinuazione, Manessier, torna a temi più spiccatamente celtici, come il tema della vendetta, mentre il quarto, che si ritiene fosse Grbert de Montreuil, torna agli elementi cristiani.
Nel frattempo, tra il primo e il secondo decennio del XIIIsecolo, il racconto veniva raccolto da un poeta tedesco, Wolfram von Eschenbach, il cui Parzival immette nel tessuto narrativo degli elementi di tipo orientale, al posto di quelli celtici che erano estranei alla tradizione germanica.
La principale differenza risiede nello stesso Graal, che viene presentato come una pietra:
[…]“Poi veniva la regina: volto aveva luminoso come l’alba, pensò ognuno. Era bello anche il suo abito di preziosa seta araba. Portò un verde drappo d’achmardi e il più bel gioiello del cielo, fonte e meta d’ogni gioia. Questa cosa è detta il Graal, segno d’ogni bene in terra.”[…]
Nel Parzival come in Chretién l’eroe viene spesso posto davanti all’errore; non solo, per pietà, evita di formulare a Amfortas (il Re Pescatore) la domanda relativa al suo dolore, ma giunge ad allontanarsi da Dio e a farsene nemico prima della redenzione: in un Muntsalwasche che era perduto e ora viene ritrovato, egli pone finalmente al Re Ferito la domanda liberatrice. Amfortas guarisce d’incanto mentre i cavalieri riconosco in Parzival il nuovo re.
La sacra reliquia, qui, non è la coppa che contiene l’ostia, né il calice dell’Ultima cena e di Giuseppe d’Arimatea: è invece una pietra preziosa, la Pietra Angolare figura del Cristo stesso, il Lapis associato nell’area germanica alla pietra incastonata nella corona imperiale e detto al tempo stesso der Waise (l’orfano, quindi l’unico) e der Weise (il saggio)..
Wolfram chiama il Graal lapis exillis, che viene spesso fatto derivare da lapis elisir, interpretabile come “pietra filosofale”, o da lapis ex coelis, avvicinandola alla gemma caduta insieme a Lucifero durante la cacciata dal Paradiso.
Nel filone del Graal si inseriscono anche il Peredur, racconto in prosa gallese che richiama molto il Perceval di Chretién, il Perlesvaus, nel quale appare anche Lancillotto, oltre ad Artù e Galvano, il Didot Perceval dello Pseudo Robert de Boron, e gli anonimi Queste del Saint Graal e Estoire del Saint Graal.
Entro la metà del duecento, quindi, la “cerca” del Graal era un filone letterario noto e ricco di varianti: suo oggetto, la cerca del prodigioso vaso da parte dei cavalieri della Tavola Rotonda.
Attraverso questi racconti l’Inghilterra anglonormanna si collegava strettamente con un altro piano e un’altra realtà storica, proprio a partire da quella seconda metà del XII secolo che aveva visto i sovrani d’Inghilterra ambire alla leadership della crociata. La missione era compiuta, era stata data sacralizzazione alla corona, tramite addirirrura l’Ultima Cena.
Si è quindi potuto ipotizzare che alla base della storia del Graal vi fosse un messaggio crociato, dopo che nel 1187 il Saladino aveva riconquistato Gerusalemme, e quindi era andato perduto il Santo Sepolcro.
Il Graal, come calice dell’Eucarestia, era quindi il cuore della Vera Gerusalemme, raggiungibile anche se quella terrena era perduta.
Tanto che Wolfram mette come custodi del Graal addirittura i Templari, nel castello chiamato Muntsalwasche. Questo nome è di solito interpretato come “Monte Selvaggio”, ma sembra più probabile “Monte della Salvezza”, che richiama il Monte Moriah sul quale Abramo aveva allestito il sacrificio del figlio, e su cui Salomone aveva eretto il Tempio.
Ora, la militia pauperum militum Christi, che noi chiamiamo Ordine Templare, aveva la sua sede originale proprio dove sorgeva il Tempio di Salomone. E’ quindi molto significativo che Wolfram si riallacci alla tradizione templare, descrivendo il Graal come una pietra. Si tratta di un’allusione a Cristo come Pietra Angolare; ma al tempo stesso alla pietra del sacrificio del Monte Moriah, che i biblisti associano al Calvario. Come già detto, pietra in area germanica associata alla gemma posta in cuspide alla corona imperiale degli Ottoni.
Alla luce del Graal valutato non come oggetto fiabesco, bensì come reliquia della Cena, si reinterpretarono anche reliquie che la cristianità conosceva da molto tempo. Si creava così un problema: il Graal era un oggetto mitico, un recipiente scomparso, oppure una reliquia ancora visibile e venerabile? Per quanto possa sembrare assurdo trattare il Graal come una “reliquia”, esistono tuttavia oggetti sui quali si è addensata una tradizione gradalica e che quindi, in un modo o nell’altro, ben lo rappresentano.

02/04/2005 17:13
 
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Complimenti Stauro.

Ben documentato ed interessante.
02/04/2005 17:30
 
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Grazie, caro Arj.
Appena finiamo di buttare giù la parte sulle leggende la posto.
Dovrebbe venire meno "pesante" rispetto a questa, che però serviva per inquadrare l'argomento.
P.S.
Come mai mi sono apparsi un paio di smilini? L'ho postato anche sui rozzi e di là non è successo nulla, eppure il copia-incolla l'ho fatto dallo stesso documento word.
02/04/2005 18:14
 
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E' per via del codice alteranito per gli smilini. Se ad esempio scrivo il ";" seguiti dal ")" per indicare l'occhiolino ottengo questo ;)
Tu hai scritto ad esempio : mmm : (senza spazi) che equivale a questo :mmm:
Per evitarlo in basso c'è da spuntare la casella disabilita smiles.

Dwarfolo
"La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci" (Salvor Hardin, sindaco della Prima Fondazione)

[Modificato da Dwarfolo 02/04/2005 18.15]

02/04/2005 18:26
 
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Grazie Dwarfo! Ormai sei il mio libretto di istruzioni ufficiale!;)
04/04/2005 17:27
 
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4 - Reliquie del Sangue

Nella cristianità esistono moltissime reliquie relative al Sangue di Cristo. Fondamentalmente sono di tre tipi: reliquie della Passione (il sangue che ha impregnato la Sindone, quello presente a Mantova e collegato alla lancia di Longino, ecc.); reliquie legate a miracoli eucaristici (il vino di Bolsena); e reliquie del sangue che sprizza da ostie o immagini consacrate.
Sia in Oriente che in Occidente moltissime chiese custodivano oggetti macchiati dal sangue del Signore. La maggior parte di questo patrimonio , peraltro di dubbia autenticità, è andata dispersa o è stata trafugata; in Francia, ad esempio, la guerra tra ugonotti e cattolici nel cinquecento e la rivoluzione ne hanno fatte sparire moltissime.
I vangeli apocrifi di Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea, che hanno ispirato alcuni testi gradalici, parlano diffusamente del sangue e della sua raccolta e conservazione.
Note, ad esempio, le ampolle di Santo Sangue che si dicevano trovate all’interno del crocifisso noto come “Santo Volto”, giunto a Luni dalla terrasanta e passato quindi a Lucca. E le reliquie del Santo Sangue conservate a Sant’Andrea e San Lorenzo di Mantova.
Ancora: la leggenda di un guanto di Nicodemo impregnato del Sangue del Salvatore e chiuso nel becco di un uccello nell’abbazia (che da questo prende il nome) normanna di Le Bec.
Reliquie del sangue costellano l’Europa, e in particolare la zona della Lorena, della quale nell’XI secolo i signori erano imparentati con Matilde di Canossa, domina sia di Mantova che di Lucca. Fu Matilde, appunto, a donare una particula del Santo Sangue al monastero di Weingarten presso Ravensburg, in Svizzera; a Bruges, invece, la reliquia del sangue era stata portata da Teodorico d’Alsazia conte di Fiandra, padre del Filippo cui Chretién dedicò il Perceval.
Né mancavano le chiese che vantavano il possesso del recipiente nel quale era stato consacrato il vino durante la cena, con cui poi Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue della crocifissione (anche se gli angeli che raccolgono il sangue sono fraquenti nelle pitture tardomedievali). I pellegrini segnalano la presenza del calice nella chiesa dell’Anàstasis di Gerusalemme, e lo descrivono come un calice d’argento dotato di manici e piuttosto capiente (un sestario gallico, circa sette litri). Non è chiaro quando fu trafugato: forse nel 1099 durante le lotte col califfo al-Hakim o nel 1187 dopo la presa di Gerusalemme da parte del Saladino (improbabile, perché il sultano non violò la chiesa del Santo Sepolcro).
Nel maggio 1101 i marinai genovesi avevano catturato la città di Cesarea sul litorale palestinese: tra le prede conquistate e deposte nella cattedrale di San Lorenzo il maggiore cronista della crociata, Guglielmo di Tiro, menziona un “recipiente di colore verde intenso a forma di piatto che […] i genovesi, credendolo di smeraldo, […] vollero offrire come insigne ornamento per la loro chiese”. Si tratta del Santo Catino di Cesarea, un piatto largo in pasta vitrea - e di forma esagonale, senza piedi e munito di due piccoli manici, del diametro di 32 cm e mezzo e della capienza di circa 3 litri - ancora oggi visibile. In realtà, inizialmente non gli fu data importanza, dal momento che Caffaro, il testimone genovese della crociata, non ne parla. Solo dopo la diffusione della letteratura gradalica si cominciò a reputarlo smeraldino e a tributargli culto. Tra due e trecento il nome Percivalle è diffuso nell’onomastica genovese, segno della fortuna del ciclo del Graal.
Intanto acquistava fama crescente nella cristianità, in particolare dopo la riconquista di Valencia, il Santo Calice costituito da una pietra di calcedonio montata in oro custodito nella cattedrale di quella città. Secondo la tradizione si trattava del calice dell’Ultima Cena, che Pietro aveva portato a Roma, quindi San Lorenzo inviato a Huesca durante la persecuzione di Valeriano. Da Huesca il calice era passato nel 713 al monastero di San Juan de la Pena, da dove i re d’Aragona lo avevano traslato nel 1399 a Saragozza e poi nel 1437 a Valencia.
Il Catino di Genova e il Calice di Valencia richiamano al fatto che il recipiente dell’Ultima Cena era, secondo la tradizione, ricavato da un’unica pietra. Un lapis unicum come la gemma della corona imperiale di Aquisgrana.
La cultura cristiana appariva quindi singolarmente disposta ad accogliere e a interpretare il Graal come simbolo, dotato però di una sua identificazione come reliquia: nei decenni tra la fine del XII e il XIII secolo, la teologia eucaristica da una parte, la lotta contro le eresie dall’altra - in particolare contro il catarismo, che avversava duramentr il dogma dell’Incarnazione ritenendolo una delle più terribili trappole in cui il malvagio Dio Creatore, il Demiurgo signore della materia, avrebbe potuto imprigionare lo Spirito - rendevano molto opportuno il diffondersi dell’idea del Graal come coppa eucaristica, che d’altro canto veniva a risolvere in termini spirituali qualunque residuo pagano connesso con il tema del recipiente della felicità, dell’abbondanza o della vita eterna.

04/04/2005 18:11
 
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Vediamo se ho capito bene.
In sintesi il Grall sarebbe un'invenzione letteraria di Chrétien de Troyes.
Successivamente l'idea è attecchita ed è stata trattata aggiungendo sempre nuovi elementi.
Giusto?
04/04/2005 18:18
 
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Per quanto se ne sa ad oggi, si.
L'idea di un contenitore in grado di conferire poteri sovrannaturali è in realtà vecchia quanto il mondo, ma il Graal come lo intendiamo noi, la coppa dell'ultima cena ecc., è una creazione medievale.
04/04/2005 18:50
 
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Se non sbaglio nel libro il codice da vinci addirittura viene definito il gral come una raccolta di documenti
04/04/2005 20:29
 
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Facciamo che il Codice da Vinci è un thriller e non un saggio, non prendiamo per oro colato tutto quanto vi è scritto.

Se non ricordo male, Stauro, il mito del Graal ha cominciato a diffondersi proprio con la Chanson de Geste, da cui è derivato tutto il ciclo bretone di Artù.
Tempi difficili, quelli. I secoli bui avevano lasciato un gran bisogno di credenze esoteriche e magiche: la religione non fece altro che appropriarsene.
Ma non leggetelo come una usurpazione da parte della Chiesa. Spesso tutto ciò nasce da leggende e credenze popolari, non confermabili né smentibili: attribuire al calice poteri miracolosi era perfettamente in voga con la corrente di pensiero dell'epoca, prelati compresi.
Non è un mistero che le religioni moderne abbiano in qualche modo rielaborato tanti culti specifici dei tempi antichi.


04/04/2005 20:36
 
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Perfetto, Raid. Hai ragione in toto.
04/04/2005 20:39
 
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Re:

Scritto da: Staurophylaktos 04/04/2005 18.18
Per quanto se ne sa ad oggi, si.
L'idea di un contenitore in grado di conferire poteri sovrannaturali è in realtà vecchia quanto il mondo, ma il Graal come lo intendiamo noi, la coppa dell'ultima cena ecc., è una creazione medievale.


Infatti (non ricordo dove l'ho letto) venne spesso paragonato al calderone dell'abbondanza celtico, anchesso foriero di molti poteri magici.

04/04/2005 20:53
 
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Precisamente. Il folklore celtico poi è quello che fu più saccheggiato dagli autori del Graal.
Addirittura in Danimarca si può vedere il "Calderone di Gundestrup" (spero di averlo scritto giusto), un recipiente dorato ricoperto di placche d'argento ritrovato a Gundestrup (spero nuovamente), arrivato in seguito a qualche incursione e conservato al Museo di Copenhagen.
www.arteceltica.it/foto/calderonesmall.gif

E' un esempio perfetto di "contenitore magico" preesistente alla leggenda del Graal.

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Omnia sunt communia

[Modificato da Staurophylaktos 04/04/2005 21.30]

[Modificato da Staurophylaktos 04/04/2005 21.37]

05/04/2005 10:59
 
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Mi sembra di ricordare che nelle varie tradizioni c'è molta confusione riguardo al Grall.

Secondo alcuni autori il Grall è la coppa da cui Gesù bevette nell'ultima cena.
Secondo altri autori sarebbe la coppa in cui fu raccolto il sangue che sgorgò dalla ferita inflitta dalla lancia di Longino.
Mi pare addirittura che alcuni autori le abbiano riunite precisando che la coppa in cui Gesù bevette fu poi utilizzata per raccogliere il suo sangue.

Giusto Stauro?

05/04/2005 11:21
 
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Più o meno.
Il nocciolo della questione è che del Graal non ne parla direttamente la Bibbia, il che gli avrebbe conferito una maggiore credibilità, ma una serie piuttosto scollegata di poemi riferiti a cavalieri senza macchia e senza paura.

Ovviamente sto ancora parlando della Chanson de Geste di Chrétien de Troyes, da cui è partito il ciclo bretone di Artù. Ciclo per l'appunto non omogeneo, in cui una volta il Graal lo trova Perceval (o Parsifal), un'altra lo custodisce Galvano, ecc...

Per questo motivo le credenze si sono diffuse in maniera disuguale: in un poema il Graal rappresentava il calice della Cena, in un altro il sangue versato sulla croce, in un altro ancora entrambe le versioni.


05/04/2005 11:42
 
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Mi associo nuovamente al Redentore. Addirittura alcuni (come Wolfram) ne fanno una pietra. Nei secoli poi è stato associato a una miriade di cose differenti, da documenti a persone.
05/04/2005 13:07
 
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Il Grall non era stato addirittura inteso come il sangue di Cristo, ovvero la sua discendenza?
Mi pare fosse riferito ai re francesi.

05/04/2005 13:40
 
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Si, negli anni '80 uscì una teoria che faceva discendere Santo Graal sa Sang Real, dove il sangue reale sarebbe quello di Cristo e della sua discendenza. Secondo questa teoria (vedi Baigent Leigh Lincoln, "il Santo Graal", poi ripresa nel codice da Vinci) Gesù non sarebbe morto in croce ma sarebbe sbarcato in Francia dove dall'unione con la Maddalena sarebbe nata una linea di sangue riconducibile ai Merovingi.
Bella, affascinante, ma senza uno straccio di prova. Anzi, i documenti su cui si basa sono dei falsi della metà del '900.
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