E questa è la mia...fase 1
Questa è la campagna che ho in corso da circa 2 mesi, i pg sono:
Chierico della fiamma argentea
Monaco di non preciso monastero
Stregone
Ambientazione: Eberron
Il gruppo così composto viene assoldato dalla fiamma argentea per compiere una missione di puro sopralluogo: recarsi nel Q'barra e scoprire quanto sono fondate le voci che parlano di alcuni tumulti ad opera di tribù lucertoloidi stanziate nelle foreste del luogo.
La nave viene colta da una tempesta a cui non sopravvive e vengono trascinati dal mare lungo le coste del Valenar, in prossimità della giungla di Ravan Orioth, parecchio distante dalla loro meta.
Tutto ciò che sanno è che devono raggiungere Nuovotrono, pernottare nella taverna Raggio di Luna per 2 notti, ed il terzo nella taverna Alba Nascente, dove verranno contattati da qualcuno dell’ordine a loro sconosciuto che si trova già sul posto.
In seguito al naufragio, si trovano privi di qualsiasi orientamento, di idee su dove siano e sopratutto di armi ed equipaggiamento, rimasti sulla nave di cui intravedono i resti delle scafo arenati su delle rocce distanti un centinaio di metri dalla spiaggia. Dopo aver fatto un giro e aver recuperato qualche monete, una fiala di un liquido a loro ignoto (cfl) e del sartiame da alcune botti arenate, cercano di trovare una soluzione sul da farsi. Il monaco decide di improvvisare con dei resti della chiglia rinvenuti con loro e le corde, una sorta di spedizione di sulla nave, sperando di recuperare il recuperabile della loro attrezzatura. Messa in acqua l'imbarcazione e sdraiatocisi a pancia in giù, in stile tartaruga si fa strada verso il relitto, mentre sulla spiaggia il chierico colto da crisi mistica cerca di ammucchiare i corpi per dargli degna sepoltura. Sulla nave il monaco con vari tentativi in apnea di cui alcuni prossimi all'affogamento, riesce a rinvenire arma e armatura del chierico, mentre lo stregone si arrangia un nuovo bastone da alcune assi trovate sempre sulla spiaggia, imprecando nel mentre per la perdita dei componenti deperibili che sono stati consumati dall’acqua di mare dalla sua sacca. Dopo circa una mezz'ora (reale) di deliri del gruppo, ipotizzando su una mappa slavata (fornita loro e invecchiata col caffé) e priva di indicazioni (e di conoscenze geografiche) il luogo del loro naufragio (tra cui si fa avanti anche l'ipotesi di essere su una isoletta tipo Piccola Flò e rimanere a girare in tondo), si lanciano in mezzo alla giungla, speranzosi di trovare una qualche "civiltà" al di là di essa. All’interno della giungla si vedono costretti ad avanzare in una vegetazione quasi amazzonica, alberi altissimi tanto da lasciare in perenne penombra il sottobosco, con conseguente crescita di fungoidi, insetti che proliferano più che mai e via discorrendo. Tre tentativi compie il monaco per riuscire ad arrampicarsi sopra gli alberi così da scrutare l’orizzonte, finiti in altrettanti fallimenti, di cui uno concluso con una caduta da 6 metri e conseguente ematoma là dove il sole non batte. Demoralizzato ma fiducioso più che mai, il gruppo dichiara la possibilità di orientarsi con la luna. Tuttavia quando la prima notte scende su loro, sul cielo appaiono non una ma ben dodici lune differenti, e per quel poco che filtra loro dalle chiome degli alberi, sommato all’ancor più misere conoscenze astronomiche di cui son dotati, decidono di utilizzare il metodo scientifico del bastoncino per determinare la giusta via. Grazie a questo nuovo ritrovato di furbizia, il giorno seguente giungono sulla sommità di una conca all’interno della giungla stessa. Questa presenta al suo interno e circa 40 metri più in basso, un edificio in stile tempio azteco. Curiosi ma intimoriti, decidono di aggirare la struttura dall’alto per i quattro lati, prima di eventualmente scendere a dare un’occhiata. Decisione saggia, in quanto sul lato a loro coperto scorgono una figura ai piedi di una scalinata, che scruta l’edificio in tutta tranquillità, con indosso una veste. Decisione avversa fu invece quella di voler rimanere a osservarla spostandosi più vicino, dato che un piede in fallo dell’ormai fortunato monaco, fa rotolare giù alcuni sassi, sufficienti a svelare la loro presenza. Il gruppo tenta invano di appiattirsi sul terreno, ma da lì a poco una forza soverchiante li solleva in aria e li scaraventa ai piedi dell’essere. Lo stregone sviene sul colpo, mentre il chierico ancora sveglio seppur incapace di muoversi, riesce a scorgere una figura femminile dai capelli bianchi, snella e alta, con una tunica decorata con complicati disegni azzurri e violacei e un elaborato copricapo che raccoglie una massa fluente di capelli color indaco, di una bellezza ultraterrena. Subito dopo le forze ultime gli vengono meno, e sviene. Passate alcune ore lo stregone riprende conoscenza, trovandosi sulla sommità della struttura a piramide, con i suoi 2 compagni disposti su altri 2 lati della cima. Svegliati, si apprestano a scappare da là, intimoriti per l’incontro appena avvenuto e per l’avventatezza da loro dimostrata. Cercando di mettere più distanza possibile tra loro e l’accaduto, avanzano fin che non vi è pericolo di rompersi l’osso del collo, per poi accamparsi nella prima zona “sicura”. Questa si rivela essere la rovina di una abitazione, crollata per metà e priva di tetto. Approntato un mini accampamento al suo interno, il chierico suggerisce di far fuoco con dei legni secchi avvistati vicino alle mura dell’edificio, così da tenere le bestie più lontane che vicine a loro, durante la notte. Tuttavia, privi di acciarino o pietra focaia, di incantesimi o qual si voglia strumento per realizzare quest’idea, tutto sommato valutano che anche stare al buio ha i suoi vantaggi. Scambiate le ipotesi su chi potesse essere quella donna, sul perché non li ha uccisi, e soprattutto su quella strana tunica, che a detta dello stregone portava dei marchi del drago impressi sopra, decidono di andare a dormire, istituendo dei turni di guardia. Durante la notte, al turno dello stregone, vengono presi di sorpresa da un gruppo di arbusti viventi, che camuffati da fascine di legno vicino all’abitazione, attendevano le loro prede per poi colpirle di soppiatto. Gli avventurieri riescono senza difficoltà a sconfiggere anche questo nemico, e cercano speranzosi di dormire una notte “tranquilla” da là in poi. Il giorno dopo, appena il chierico ha pregato i suoi incantesimi e i suoi compagni compiuto le abluzioni mattutine, riprendono il cammino verso una ipotetica direzione. La giornata scorre tranquilla, e così il giorno dopo e l’altro ancora, se non fosse per una leggera pioggerella che non li ha mai lasciati e che li costringe a vivere ancora più nel disagio questa traversata. Il quarto giorno, durante l’ennesima marcia forzata (si nutrono attraverso acqua e cibo trovati/purificati dal chierico), interrotti da un rumore sordo “spaf!”, chierico e stregone si voltano per vedere il loro compagno nella retrovia levarsi manciate di feci dal collo, mentre giace a terra carponi per il colpo preso. Imprecando per lo schifo cerca l’origine di tutto ciò, per poi notare tra i rami alti degli alberi un’agile figura indicata dallo stregone saltare di ramo in ramo. Nuovi proiettili di feci vengono a flagellare il gruppo, che rapido decide di ripararsi dietro alcuni tronchi per mettere assieme delle idee. Lo stregone scaglia verso l’alto il suo fido dardo incantato, cogliendo l’avversario mentre transitava in volo tra due rami e rovesciandolo rovinosamente a terra. Quel che si rialza è un ammaccato gorilla, che non indugiano a finire a suon di pugni, mazzate e incantesimi. Stanchi e sporchi, arrancano ancora nella giungla, frustrati e non più tanto sicuri di uscirne…