E’ la scala verso l’eternità, quella che porta all’acropoli, al supremo tempio, al gioiello incastonato nel monte. Una salita lunga e faticosa, una catarsi verso il divino.
E’ l’ascesa verso la purezza della forma, il concetto privato di fronzoli, la geometria nella sua forma più consistente. La proporzione umana incontra quella divina, lo spazio a misura d’uomo, ma dove l’uomo diventa esso stesso dio. Senza venire sopraffatto da forma titaniche, senza che venga colpito da sfarzi barocchi. Il trionfo dell’architettura della ragione.
Ma io, Atena, protettrice del tempio, non posso guardarmi intorno, solo tu hai ragione di riempire il mio sguardo. La tua acropoli è assediata mia dea, da una triste distesa di cemento e asfalto.
La tua città è stuprata Atena, tu che nascesti in arme e proteggesti la tua purezza dalle insidie degli dei, oh Atena, perché non hai protetto allo stesso modo la tua dimora? Cicatrici profonde solcano il tuo volto eburneo, mia dea.