Background di Heinrich Sponek, tenente della 24° Panzerdivision
Autore: Principe Vegeta
Mio Dio perché ci hai abbandonato? La strada non si misura più a metri ma a cadaveri di caduti. Non è più una città. Ogni giorno che passa si trasforma in un’enorme nube di fumo accecante e bruciante; è una vasta fornace illuminata dal riflesso delle fiamme. Gli animali abbandonano questo inferno; anche le pietre più dure non possono sopportare queste condizioni per molto tempo. Solo gli uomini resistono.
Ma per quanto ancora? Sono ormai diciassette mesi, due settimane e tre giorni che manco da casa. Mia moglie Geli mi manca tantissimo. E’ passato molto tempo da quando ho ricevuto la sua ultima lettera. La corrispondenza non riesce più ad arrivare da quando hanno è stato completato l’accerchiamento delle nostre forze. Da giorni si vocifera di forze corazzate che stanno giungendo in nostro soccorso da ovest, ma il generale Von Paulus non è stato autorizzato ad alcuno sganciamento fin’ora. Quel folle che sta a Berlino ha detto che non retrocederemo di un sol passo. E anche se volessimo muoverci ormai non ne saremmo più in grado. Ci manca tutto, munizioni, cibo, acqua, carburante. Gli aerei che fino a qualche giorno fa ci lanciavano aiuti ora non si vedono più. Fa troppo freddo persino per riuscire a dormire e chi riesce ad assopirsi rischia di non svegliarsi più. In questa lunga, interminabile, allucinata veglia si ha molto tempo per pensare e per riflettere, e alcuni impazziscono oppure si trascinano come fantasmi, altri piangono, altri come me, si rassegnano, si fanno forza l’un l’altro e vanno avanti. Ma i nostri occhi tradiscono le nostre parole. Mi chiedo come si sia potuti giungere a questo. Come sia stato possibile un inganno così grande, nessuno ha scorto il volto nero e marcio della menzogna dietro la facciata di grandiosità e magnificenza. Ma anche ora che scrivo al mio più sincero e fedele confidente sto mentendo, so bene che fine ha fatto chi ha provato a metterci in guardia: schernito e dileggiato, ucciso. Solo ora, a migliaia di chilometri dalla mia città natale, Kustrin, riesco a vedere tutto in maniera obbiettiva: la HJ, le SA, la Wehrmacht.. e tutte quelle manifestazioni, quei raduni, quelle teorie sterminate di uomini, per tutta la vita non hanno fatto altro che dirmi cosa dovevo fare, mi hanno insegnato ad obbedire, e io sono stato buon allievo. Per più di 20 anni non ho mai esitato una volta, nemmeno quando il mio vicino di casa è stato portato nel ghetto, nemmeno quando mio padre è stato picchiato a morte perché comunista. Sempre fiero nella mia uniforme, bianca, marrone, grigia, ma sempre con la stessa fascia sul braccio. Nessun dubbio mi ha assalito durante la buia notte, come invece accade ora. A scuola ci parlavano della guerra come di un qualcosa di eroico e io, avidamente leggevo dai libri, apprendendo quanto fossero belle quelle battaglie, che apparivano così limpide e asettiche dalle pagine stampate, sognando un giorno di prendervi parte, come se fosse il giuoco più bello. Ma ora vedo che la realtà è ben diversa, come l’umile fante di Sedan ha sempre saputo. Fumo, terra, sangue, piombo e morte. Non avevo mai considerato la morte in maniera così personale, nemmeno quando si era trattato di mio padre, ma allora non avevo ancora provato a marciare trentacinque chilometri al giorno, con il sole e con la pioggia, inseguendo le panzerdivisionen che sfrecciavano sui loro scintillanti cingoli, allora ancora mi era ignoto il vero significato della parola fame, morire di inedia è ora un’eventualità tutt’altro che remota. Ormai, abbandonati anche dalla Luftwaffe, solo la Dolce Morte, rimane a farci compagnia, sempre.