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Ambientazione Moderna

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    Elwood Blues
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    Immortale
    00 22/12/2005 15:40
    Nome: Damon Hios
    Ambientazione: Moderna (guerra)
    Autore: Il Prode Bratt


    E’ strano come raccontare in poche righe la propria vita, i propri sogni ed i motivi che ci portano ad essere come
    siamo ci faccia rendere conto di come le cose dipendano in minima parte dal nostro arbitrio.
    Se non fosse successo quel che è successo, probabilmente sarei dietro il bancone del negozio di mio zio, o a
    pascolare le greggi che mio padre portava all’alpeggio quand’ero bambino, e non potevo far altro che girovagare
    nei boschi vicino casa, sognando di crescere in fretta per poterlo seguire i quelle che ai miei occhi erano
    avventure fantastiche.
    Forse mi sarei sposato con Marja… del resto abbiamo condiviso così tante cose che mi par strano non vederla
    più tutti i giorni. Dai banchi di scuola ai lunghi pomeriggi passati nell’officina di suo padre, lei inzaccherata fino
    alla punta del nasino nel grasso di quelle diavolerie a motore che amava tanto, io dietro a fingere lo stesso
    entusiasmo per poterle rubare un sorriso, o magari la promessa di un bacio… sembravamo destinati entrambi
    ad una vita tranquilla, magari non molto avventurosa ma normale, come si tende a sognare quando la ragione
    lascia il posto al sentimento, e tutta la vita è racchiusa negli occhi di chi vuoi stringere forte vicino al cuore.
    Se non fosse successo quel che è successo… quanto suona stupida, nel ricordo, una frase così. Non si può
    cancellare il passato, non si possono cambiare eventi più grandi di noi.
    Del resto non vorrei neppure cancellarli, certi ricordi. Non i più belli… al contrario. Quelli che bruciano. Il fuoco, le
    pallottole, quei bastardi che razziavano tutto senza preoccuparsi di chi sarebbe restato. La morte, le esecuzioni,
    le violenze sui deboli. I suoi capelli pieni di sangue, il buio in quegli occhi che non brilleranno più. Sono questi i
    ricordi che voglio tenere vivi, sono queste le immagini che mi danno la forza di tirare il grilletto.
    Perché non ho iniziato io questa sporca guerra, ma ormai non mi importa più.

    Per loro non sono neppure un soldato. Ribelle, mi chiamano. Ma ribelle da cosa? Dal non farsi mettere i piedi in testa,
    dal non farsi invadere e sopraffare con le mani in mano.
    Questo non è essere un ribelle, per me. E' essere un uomo.
    Questa vita non mi spaventa. Sono un buon tiratore, andavo a caccia da giovane, non ho problemi nella vita all’aria aperta.
    Ora però le mie prede sono cambiate.


    Note interpretative:
    Damon è determinato nei suoi compiti anche se non ha grosse ambizioni di potere o gloria: è mosso dall’odio e dalla vendetta,
    che continua ad alimentare per non essere schiacciato dagli orrori che ha vissuto.
    Difficilmente si presterà ad azioni eroiche o atti eclatanti: preferisce colpire per ottenere il massimo risultato, senza bisogno di gloria.
    Non si affezione facilmente a nulla, compagni compresi: il suo stato d'essere deriva dall'aver perso l'oggetto dei suoi sentimenti più profondi
    e non ha intenzione di correre il rischio che ciò accada nuovamente. Rare volte si rende conto del baratro d'odio in cui sta,
    più o meno volontariamente, sprofondando: in questi casi cerca di cancellare il pensiero con l'azione, preferibilmente cruenta.
    Non è malvagio, è un uomo profondamente disilluso dalla vita che non vede sbocchi emotivo/affettivi (nuovi amori, amicizie) o sociali (miglioramenti economici, di status).
    Un'interessante - ma non facile o scontato - sviluppo del personaggio può portarlo a superare questa impasse, sempre salvaguardandone il carattere e le prerogative.
    Oppure farlo scendere sempre più in basso... fino a renderlo indistinguibile da chi lo ha reso così.



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    Elwood Blues
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    Immortale
    00 22/12/2005 15:49
    Background di Heinrich Sponek, tenente della 24° Panzerdivision
    Autore: Principe Vegeta

    Mio Dio perché ci hai abbandonato? La strada non si misura più a metri ma a cadaveri di caduti. Non è più una città. Ogni giorno che passa si trasforma in un’enorme nube di fumo accecante e bruciante; è una vasta fornace illuminata dal riflesso delle fiamme. Gli animali abbandonano questo inferno; anche le pietre più dure non possono sopportare queste condizioni per molto tempo. Solo gli uomini resistono.
    Ma per quanto ancora? Sono ormai diciassette mesi, due settimane e tre giorni che manco da casa. Mia moglie Geli mi manca tantissimo. E’ passato molto tempo da quando ho ricevuto la sua ultima lettera. La corrispondenza non riesce più ad arrivare da quando hanno è stato completato l’accerchiamento delle nostre forze. Da giorni si vocifera di forze corazzate che stanno giungendo in nostro soccorso da ovest, ma il generale Von Paulus non è stato autorizzato ad alcuno sganciamento fin’ora. Quel folle che sta a Berlino ha detto che non retrocederemo di un sol passo. E anche se volessimo muoverci ormai non ne saremmo più in grado. Ci manca tutto, munizioni, cibo, acqua, carburante. Gli aerei che fino a qualche giorno fa ci lanciavano aiuti ora non si vedono più. Fa troppo freddo persino per riuscire a dormire e chi riesce ad assopirsi rischia di non svegliarsi più. In questa lunga, interminabile, allucinata veglia si ha molto tempo per pensare e per riflettere, e alcuni impazziscono oppure si trascinano come fantasmi, altri piangono, altri come me, si rassegnano, si fanno forza l’un l’altro e vanno avanti. Ma i nostri occhi tradiscono le nostre parole. Mi chiedo come si sia potuti giungere a questo. Come sia stato possibile un inganno così grande, nessuno ha scorto il volto nero e marcio della menzogna dietro la facciata di grandiosità e magnificenza. Ma anche ora che scrivo al mio più sincero e fedele confidente sto mentendo, so bene che fine ha fatto chi ha provato a metterci in guardia: schernito e dileggiato, ucciso. Solo ora, a migliaia di chilometri dalla mia città natale, Kustrin, riesco a vedere tutto in maniera obbiettiva: la HJ, le SA, la Wehrmacht.. e tutte quelle manifestazioni, quei raduni, quelle teorie sterminate di uomini, per tutta la vita non hanno fatto altro che dirmi cosa dovevo fare, mi hanno insegnato ad obbedire, e io sono stato buon allievo. Per più di 20 anni non ho mai esitato una volta, nemmeno quando il mio vicino di casa è stato portato nel ghetto, nemmeno quando mio padre è stato picchiato a morte perché comunista. Sempre fiero nella mia uniforme, bianca, marrone, grigia, ma sempre con la stessa fascia sul braccio. Nessun dubbio mi ha assalito durante la buia notte, come invece accade ora. A scuola ci parlavano della guerra come di un qualcosa di eroico e io, avidamente leggevo dai libri, apprendendo quanto fossero belle quelle battaglie, che apparivano così limpide e asettiche dalle pagine stampate, sognando un giorno di prendervi parte, come se fosse il giuoco più bello. Ma ora vedo che la realtà è ben diversa, come l’umile fante di Sedan ha sempre saputo. Fumo, terra, sangue, piombo e morte. Non avevo mai considerato la morte in maniera così personale, nemmeno quando si era trattato di mio padre, ma allora non avevo ancora provato a marciare trentacinque chilometri al giorno, con il sole e con la pioggia, inseguendo le panzerdivisionen che sfrecciavano sui loro scintillanti cingoli, allora ancora mi era ignoto il vero significato della parola fame, morire di inedia è ora un’eventualità tutt’altro che remota. Ormai, abbandonati anche dalla Luftwaffe, solo la Dolce Morte, rimane a farci compagnia, sempre.